Che fine ha fatto la classe operaia?

Dai professionisti, dai dirigenti d’azienda, dagli artigiani ecc. si sente chiedere soprattutto un nuovo condono fiscale. Ma che fine ha fatto “l’altro popolo”, quello che una volta sembrava destinato a guidare tutta la società e che per decenni è stato il punto di riferimento della sinistra, insomma la classe operaia? Se esaminiamo un po’ come sono andate le cose al Nord, in particolare in Lombardia, dove vi era la maggior parte della classe operaia i dati sono impressionanti. Secondo una rivista pubblicata dalla Camera di Commercio di Milano, l’elemento che più colpisce è quello relativo ai grandi stabilimenti lombardi. Se nel 1971 erano 304 gli impianti con più di 500 addetti presenti nella regione (e 105, poco meno di un terzo, avevano più di mille dipendenti) trent’anni dopo, nel 2001, i grandi impianti (con più di 500 dipendenti) sono ridotti a 98 e quelli con oltre mille addetti quasi si contano sulle dita di una mano: 27 in tutto.

Ma il 2001, data dell’ultimo censimento, è stato otto anni fa. Oggi è pensabile che il trend sia andato avanti e che quindi gli impianti con oltre mille addetti siano non più di una dozzina in tutta la Lombardia. Nel giro di poco più di trent’anni, cioè, le grandi concentrazioni operaie sono scomparse, di fatto, dalla regione più industrializzata del paese. E infatti se gli addetti alle grandi imprese nel 1971 erano quasi 380 mila, nel 2001 si erano ridotti a poco più di 90 mila. Anche in questo caso il trend deve essere andato avanti e quindi tutti questi numeri vanno rivisti al ribasso.

Negli ultimi trent’anni, cioè, l’industria lombarda (ma quella italiana deve averla seguita) ha via via abbandonato le grandi dimensioni. Allora si contavano in Lombardia cinque grandissimi stabilimenti con oltre cinque milioni di metri quadri di superficie e quasi 60 mila addetti complessivi: oggi di quegli impianti non c’è quasi più niente, pallide ombre.

L’industria lombarda ha abbandonato le grandi dimensioni e ha scelto di diventare media: da qui quel fenomeno molto italiano che è stato alla fine chiamato Quarto Capitalismo, fatto di aziende medie e medio-grandi, ma molto organizzate, molto hi-tech e molto internazionalizzate. Però le grandi concentrazioni di tute blu non ci sono più.

E questo ha avuto i suoi riflessi anche sulla politica. Certa sinistra “di classe” e certo sindacalismo hanno fatto  finta di non accorgersi di quello che è successo e usano ancora il linguaggio di prima, ma il mondo di prima non c’è più. E’ stato sepolto e non tornerà mai più (è vana la richiesta di rifare aziende di grandi dimensioni: quello è solo il passato). A questi capi “di classe” (come si diceva una volta) basta mettere insieme cinquanta operai per poter parlare di classe operaia, ma la verità è che alle spalle di quei cinquanta operai non c’è più il mondo di prima.

E anche la sinistra riformista non è uscita bene da questo imponente cambiamento: è un po’ come un bambino al quale abbiano portato via i giocattoli e che ancora non sa che fine abbiano fatto e, soprattutto, che cosa può fare lui adesso che non ha più i suoi giochi. Prima sapeva che, alla fine, avrebbe trovato al suo fianco le grandi concentrazioni operaie: oggi ha paura di non trovare nessuno, perché non c’è più nessuno.

Al posto della grande “Lombardia operaia” è emerso, si diceva, il Quarto Capitalismo e tutto intorno è fiorito un mondo di consulenti, professionisti, piccole aziende. E questo è il mondo al quale oggi si riferiscono Berlusconi e la Lega. Un mondo non proprio votato al progresso e politicamente non di sinistra (forse nemmeno riformista), ma è quello che c’è e è quello con cui bisognerà imparare a fare i conti.

Le storture di un Paese.

La nostra Italia è il Paese dei monopoli, delle corporazioni e dei privilegi. Di manager pubblici, medici primari, farmacisti, professori, banchieri, notai… Non è più possibile che solo i figli di manager pubblici diventano funzionari della pubblica amministrazione,i figli dei medici primari diventano primari, i figli dei farmacisti diventano farmacisti,  i figli dei professori diventano professori, i figli dei banchieri diventano banchieri, i figli dei notai diventano notai…  Basta!! Chi ha causato la crisi? Le banche. Chi guadagna dalla crisi? Le banche.  Il 99% delle banche hanno chiuso dei bilanci semestrali fantastici. Come avranno mai fatto con tutta questa crisi in giro? Il correntista che deposita i suoi risparmi sul conto ottiene di interesse dallo 0,1 allo 0,5% nei casi più fortunati. Se chiede di più, la risposta è sempre la stessa: “E’ colpa dell’Euribor!“. Se lo stesso correntista chiede un prestito il tasso di interesse diventa un numero a piacere tra l’ 8 e il 10%. In questo caso l’Euribor non c’entra nulla. L’Italia è il Paese dei monopoli, quello bancario è forse il peggiore!

Anche le nuove tecnologie aumentano l’inquinamento.

Tutti gli strumenti del comparto ICT (Information and Communication Technologies) per funzionare consumano energia. Oggi nessuno rinuncerebbe al computer, al telefonino, al televisore e altro. Ma il problema dello smaltimento e dell’inquinamento di tali prodotti esiste ed è reale. Dobbiamo esserne tutti consapevoli, e in modo particolare lo devono essere la politica e  le istituzioni. Ognuno deve pensare al proprio territorio in una chiave sempre più glocale. Si ho scritto bene. Non è un refuso: glocale nasce dalla fusione di globale e locale: agire locale, pensare globale; agire nel piccolo e pensare in grande (e viceversa); ecco il significato di questo termine. Ebbene, come accade per buona parte delle attrezzature e degli strumenti che hanno bisogno di energia per funzionare, anche le tecnologie dell’informazione non fanno eccezione e come tali generano gas serra perché per funzionare consumano energia che, a sua volta per essere prodotta necessita spesso di bruciare del petrolio. Gli esperti dicono che dal punto di vista dell’anidride carbonica le nuove tecnologie contano per il 2% delle emissioni globali. Aggiungendo a ciò lo smaltimento di materiale elettrico, le cifre sono impressionanti. Si calcola che ogni giorno nel mondo vengano eliminati 460.000 Pc; nel 2006 sono stati complessivamente 160 milioni i Pc rottamati, 50 milioni solo in Europa. La stima per il 2011 prevede addirittura 800 milioni di Pc rottamati; di questi, almeno 512 milioni (il 64%) saranno eliminati, con oltre il 73% lasciati nelle discariche e solo una piccola percentuale destinata al riuso. A queste cifre, già enormi, se ne aggiungono altre; si stima siano 550 milioni i telefonini cellulari al mondo destinati a essere sostituiti a breve, di cui solo un 5-10% riutilizzabile. Una quantità enorme di “spazzatura elettronica”, piena di materiali potenzialmente dannosi, dalla plastica ai metalli.

Spero che ci saranno dei provvedimenti specifici e scelte lungimiranti per regolarne lo smaltimento. Non vorrei che da qui a qualche anno ci ritroveremo sommersi da tali prodotti insieme a tutti gli altri rifiuti.

Una cosa è certa: anche le nuove tecnologie generano Co2 e rifiuti.

Sud contro Sud.

Volete darci la Banca del Sud, ma siete matti? Volete reintrodurre una forma di sostegno al Meridione che somiglia alla cassa del Mezzogiorno, ma vi ha dato di volta il cervello? Volete fare il ponte sullo Stretto, ma ci volete morti? Volete rilanciare il turismo al sud facendo nascere i casinò, ma voi siete solo pazzi…
Non c’è programma, investimento, iniziativa di rilancio del sud che non sia criticato o bocciato. E non dai padani o dai romani, ma da quelli del sud.
La malattia del sud è in una parola chiave, anzi in una parola chiavica, che fa sprofondare il sud nella fogna della paralisi: «Non si può». A dire «Non si può» non sono più gli agrari reazionari, le bigotte o i contadini, conservatori per indole e natura, ma è un ceto intellettuale-mediatico progressista, laico e radicale. Se prendete i giornali del sud, e le pagine meridionali dei giornali nazionali, è un continuo non si può.
I negazionisti di turno si sono fatti già sentire quando è stata varata la banca del sud. Coro di no degli intellettuali e degli imprenditori progressisti alla nascita della Banca del Sud.«È il solito spot del governo», aggiungono. Ci sarebbe da aspettarsi una levata di scudi dei settentrionali, e invece no, a reagire così sono proprio i beneficiari dell’impresa, cioè noi cittadini del sud.
Si possono anche discutere gli effetti che potrà avere una Banca del Sud, ma io sento fior di meridionalisti e di giornali meridionali che per anni hanno lamentato la colonizzazione finanziaria del sud, il drenaggio di investimenti prelevati a sud e portati a nord e hanno rimpianto l’epoca in cui il sud aveva grandi banche proprie e nazionali, come il Banco di Napoli o di Sicilia. Ora che qualcuno rilancia l’idea del sud imprenditore di se stesso, i meridionalisti piangenti insorgono offesi.
Non voglio parlare della sollevazione contro la Brambilla che ha prospettato la possibilità di far nascere casinò negli alberghi a sud: sinistre e Cgil reagiscono offesi, come se avessero chiesto al sud di prostituirsi e spacciare droga.
Di tutte le proposte per il rilancio del sud, alcune le condivido altre no. Per esempio, io non farei rinascere sotto falso nome casse e cassette del Mezzogiorno, dopo che le regioni del sud non hanno saputo usare i fondi europei. E tra le priorità strutturali e simboliche del sud non mi pare che il Ponte sullo Stretto sia la scelta giusta. Ma nel complesso posso dire due cose, da cittadino del sud fiero d’esserlo: non avevo mai visto una concentrazione di progetti per il sud così densa e impegnativa da parte di un governo; e poi alcune di queste iniziative avranno pure mille controindicazioni, ma come diceva Machiavelli meglio fare e poi pentirsi che non fare e poi pentirsi ugualmente. E la malattia meridionale finora è stata il non fare, non si può. Avessero solo un valore simbolico e psicologico, quelle opere segnerebbero già un mutamento importante nella nostra mentalità.

Qui però c’è da affrontare il nuovo fatalismo in malafede che prospera al sud e che fa rimpiangere l’arcaico ma genuino fatalismo del sud, popolare e contadino: il fatalismo inerte, accidioso, delle classi colte. Se togli tutte quelle iniziative cosa resta al sud? Resta solo andar via, abbandonare, emigrare con la mente se si superano i 40 anni, e col corpo se si è ancora giovani. Ma dicevo mala fede non a caso. L’ostilità a ogni progetto, questa volta, non viene dalla gente comune, dal popolino conservatore e ignorante, ma da chi dovrebbe guidare lo sviluppo del sud, tra università, giornali, intellettuali, oltre che naturalmente opposizione, sindacati, associazioni. Ho l’impressione che al sud stiano crescendo gli impresari dell’inerzia, del non-fare, dello scetticismo, perché c’è gente che campa sulla drammatizzazione del sud.
Intellettuali, giornalisti, cineasti, magistrati, scrittori-magistrati che perderebbero il loro mestiere di teologi della sfiga, di cantori della catastrofe, di ideologi del sud incurabile. Questa visione del sud che oscilla tra la malattia e la denuncia, questa visione reprimente e ospedaliera del Meridione, è la base per la loro letteratura, il loro ruolo intellettuale e civile.  Altro che la Lega; a sud c’è un ceto che campa su questo sud senza redenzione. Con quest’élite di sud-tirapiedi, di meridionali iettatori, che sognano un sud immobile e inguaribile per poi denunciarne il male e l’inerzia, il sud rischia veramente di andare alla deriva definitiva.

I partiti politici.

In un film, non ricordo il titolo, c’è un regista che non riesce a capire come mai l’attore inquadrato in macchina risulti sempre sfuocato. Ma è l’attore che non funziona non la cinepresa. La stessa immagine sbiadita e fuori sincrono la stanno dando i partiti qui a San Giovanni in Fiore come anche in tutta l’Italia.

Qui a san Giovanni in Fiore non sembra ma la società civile, iscritti e non iscritti ai partiti, quelli che li hanno votati e non li votano più, quelli che non li votano più ma vorrebbero avere un buon motivo per tornare a votarli,  seguono  con attenzione i fatti interni, le vicende congressuali e tutto il resto all’interno di essi. Complessivamente questo popolo di delusi conta circa cinque o sei milioni di persone in tutta Italia e molti anche nel nostro paese. Sono stati definiti gli ex voto, un popolo enorme di cui però nei dibattiti congressuali nazionali e non, ci si occupa poco o niente. Eppure quelle persone, recuperate  e  di nuovo motivate, potrebbero ancora una volta far pendere la bilancia dalla parte dei partiti e della democrazia vera.

Altre cose non vanno. I partiti sembrano  incartati nei dibattiti tutti interni, fatti di molto politichese e di poche questioni concrete. A cominciare dalle misure di sostegno per aiutare le 580mila persone che hanno perso il lavoro nel primo semestre dell’anno.

Chi saprebbe dire in parole semplici quali sono le differenze di programma tra i vari partiti? E anche nel PD tra Bersani e Franceschini? Visto che fra poco ci sarà il congresso. Su laicità e diritti Marino ha certamente un profilo più netto: ma non riesce a schiodarsi dal ruolo di terzo incomodo. E poi c’è il problema, non soltanto al Sud, del tesseramento gonfiato. Ma, soprattutto, il Pd appare come un partito dove una base appassionata, ma anche pecorone,  pensiamo alle migliaia di volontari delle Feste, non riesce a farsi ascoltare dalla nomenclatura. Un grande partito, dunque ma anche un partito senza. Che fa opposizione in parlamento ma senza l’energia necessaria e quasi sempre con toni impercettibili.

Amici dei partiti, tesserati e non, il rischio è che alla fine non vi ascolti più nessuno.

La truffa della democrazia rappresentativa.

La differenza tra la democrazia e la dittatura è che nella prima ti fanno votare e poi ti danno ordini, mentre nella seconda non ti fanno perdere tempo a votare.
Se la democrazia rappresentativa è il migliore dei mondi possibili, la sua versione degenerata italiana è il peggiore dei migliori mondi possibili.  Cari tesserati dei partiti in Italia, il cittadino conta uno, ma vale zero. Quando i cittadini sono chiamati a votare per qualsiasi tipo di elezione o all’interno di un partito con l’idea di farci rappresentare da qualcuno per i nostri problemi, è un modo per rendere presentabile qualcosa che presentabile non è, che è indecente, che è una truffa. Questo qualcosa si chiama democrazia rappresentativa.
La democrazia rappresentativa è un modo per fregare la gente col suo consenso e soprattutto la povera gente. Innanzitutto non si è mai capito bene cosa sia la democrazia rappresentativa: Norberto Bobbio, che ha dedicato tutta la sua lunga e laboriosa vita a questo tema, non ne è venuto mai a capo. Comunque prendiamo due elementi che vengono considerati dai cittadini come essenziali della democrazia, cioè il voto è uguale, one man, one vote, come dicono gli anglosassoni , il voto è libero. Ebbene, il voto non è uguale: il consenso è taroccato. Il voto non è uguale per la ragione definitiva che è stata illustrata da molti studiosi. “Cento che agiscano sempre di concerto e d’accordo prevarranno sempre su mille che agiscano liberamente”. Il consenso non è libero perché ampiamente condizionato dai mass media che sono in mano ai soliti noti e che, non a caso, si chiamano strumenti del consenso.
In realtà la democrazia rappresentativa è un sistema di oligarchie, di minoranze organizzate, di aristocrazie mascherate che schiacciano il cittadino singolo, l’uomo libero che non vuole umiliarsi a infeudarsi in queste oligarchie, i partiti e le altre lobby economiche o forze oscure spesso legate insieme. La democrazia rappresentativa sarebbe ciò di cui il pensiero liberale voleva valorizzare, meriti, capacità, potenzialità, e il cittadino ideale di una democrazia ne diventa vittima designata.
Senza fare troppa teoria, lo vediamo tutti che non contiamo niente, che la nostra voce non è ascoltata. Quando i cittadini scendono in piazza a protestare per qualcosa nessuna risposta è sta mai data, né da destra né da sinistra. Anzi a sinistra si è detto spesso: “non mi confonderai con un girotondino” come se andare in piazza non fosse il primo diritto politico del cittadino che viene prima del voto.
Il problema è della democrazia mondiale, occidentale, ma il sistema italiano ha delle degenerazioni intollerabili. Credo  che questo sistema che non rispetta i cittadini, prima o poi cadrà. Forse ci vorrà del tempo, ma prima o poi una truffa di questo genere sarà eliminata.

SS-107 Una vergognosa indecenza.

Quotidianamente percorro con la mia auto la SS 107 facendo il pendolare tra San Giovanni in Fiore e Cosenza per motivi di lavoro.

L’indecenza sta nel fatto che ai bordi della SS 107 (non importa se accanto a dei ristoranti ben in vista agli occhi dei turisti e non) giacciono molte carcasse di animali, alcune delle quali sono di cani probabilmente investiti dalle auto in corsa. Nessuno che provvede a toglierle. Vorrei sapere di chi è la competenza di tale servizio, se dell’ANAS della Provincia o altro. Sarà incredibile ma, nei pressi di Torre Garga e anche poco prima della stazione di servizio Agip nei pressi di Camigliatello Silano, alcune carcasse di cani sono rimaste lì per circa due anni, prima gonfiandosi, poi andando in putrefazione e poi diventando polvere. Uno spettacolo indecente agli occhi di tutti gli automobilisti. Mi auguro che tutto ciò finisca e che chi di competenza adempia ai propri doveri. Gli automobilisti tutti pagano la tassa di circolazione per avere le strade pulite e sicure, e non il biglietto per un tale indecente spettacolo.

Quando una corte, un comitato, una commissione o un gruppo sono seri.

Fermo restando che la legge è uguale per tutti, voglio mettere in evidenza alcune anomalie su alcune istituzioni e organi dello Stato.

Come tutti sappiamo la Corte Costituzionale è la suprema corte di garanzia  per quanto riguarda la nostra Repubblica e il nostro ordinamento statale. Non è un gruppo di scalmanati o un gruppo di compari a un banchetto, o un gruppo di amici a una pizza.

La mia opinione è che quando un tale organo di garanzia è chiamato a giudicare su materie cosi delicate come le leggi dello Stato, o conflitti tra poteri dello Stato non può non decidere alla unanimità. Una legge o è costituzionale o è incostituzionale. In una corte quale è la Corte Costituzionale della nostra Repubblica, non vi possono essere pareri, giudizi diversi o spaccature tra i membri. Se è cosi  un tale organo perde credibilità e può apparire che alcuni membri siano di parte. Nella vicenda del Lodo Alfano , la Corte, all’unanimità doveva bocciare o promuovere questa legge.

Perché dico questo? Perché alla luce della consegna del Premio Nobel per la pace conferito al Presidente Usa Barack Obama, non vi sono stati dubbi. Tutti i membri del Comitato per la consegna del Premio Nobel hanno espresso un unico parere, hanno deciso alla unanimità. Di qui la serietà, l’onestà e la credibilità del Comitato. Poi possono starci tutte le critiche e i pareri che vogliamo.

“AAA Cercasi sindaco per San Giovanni in Fiore”

I partiti politici del nostro paese sono già impegnati nella parte più tradizionale del loro lavoro: decidere candidati sindaci ed alleanze in vista delle prossime elezioni comunali. Sono le contese tra le nomenclature, che tanto appassionano gli interessati. C’è anche bisogno però di spostare il discorso sul paese: il suo stato attuale, i problemi, le prospettive.

Come si può percepire i nostri politici locali, come anche quelli regionali e nazionali, non amano molto le primarie vere, aperte e per tutti.

Mi auguro che San Giovanni in Fiore sia il primo paese in cui si terranno le primarie aperte, vere e per tutti. Esiste un comitato per far ciò. I partiti politici locali lo sanno. Se le primarie vere, aperte e per tutti saranno sabotate, mi dispiacerà per la vera democrazia e per i cittadini tutti. Sarebbe un fallimento per tutta la politica.

Un sindaco però, bene o male, dovremo averlo. Meglio bene che male.

In questo nostro paese c’è un vuoto, un decadimento e serve una personalità di prestigio.

Il paese di San Giovanni in Fiore ha bisogno di una faccia nuova. Questa è la mia idea, il mio auspicio, per nulla provocatorio. Riflettendo sul futuro del paese alle prese con un complesso impasse politico, mi chiedo come sia possibile che le medesime persone, che hanno scandito la vita cittadina negli ultimi dieci o venti anni, possano ancora solo ipotizzare di riproporsi alla guida della città. “E’ mai possibile che San Giovanni in Fiore, non abbia prodotto negli ultimi anni una classe dirigente, un personale politico all’altezza del ruolo che il paese richiederebbe, capace di coglierne le sfide, valorizzarne e tutelarne l’unicum di bellezze naturali, architettoniche e culturali?”. A sinistra da anni  è in corso una guerra fratricida che ha originato  un sindaco proveniente proprio da quelle fila. A destra, invece, si è al disastro, ad un tale decadimento politico da prefigurare la candidatura di chissà quale personaggio. A mio parere il denominatore comune della politica cittadina è rappresentato dal “vuoto” che  San Giovanni in Fiore drammaticamente vive e che ognuno può quotidianamente constatare, dalla desolante condizione di disagio individuale al diffuso malessere collettivo, comprese le categorie che compongono la trama economica e produttiva della città. Riproporre chi ha già ampiamente dato prova degli effetti della propria gestione  è oggettivamente una sconfitta ed equivale a squalificarsi. Intendo soltanto essere da stimolo per una discussione politica, gettare il sasso nello stagno.

Credo che ognuno di noi debba domandarsi quale possa essere il futuro della città e dei nostri figli in una situazione senza apparenti sbocchi, anzi con un preoccupante ritorno alla miopia ed all’ immobilismo politico. A fronte di una siffatta situazione occorre promuovere un moto di reazione. Detto ciò, indico le possibili soluzioni, lanciando l’ipotesi di proporre la guida di San Giovanni in Fiore ad una personalità di indiscusso prestigio nel panorama culturale, sociale, ed economico locale, avviando una proficua stagione di crescita. Inserirei domani stesso sui quotidiani locali e su dei manifesti l’avviso: “AAA cercasi sindaco per San Giovanni in Fiore”. Ciò non deve essere percepito come offensivo, come un’onta. Deve essere piuttosto inteso come un dato obiettivo della realtà politica cittadina, proprio per portare più velocemente a soluzione le numerose e consolidate anomalie politico-amministrative che connotano il nostro paese. Non so chi indicare con precisione, credo che la figura possa essere quella di una donna, un professionista, un insegnante, un manager, un imprenditore, un giornalista. A tal fine, ritengo molto utile il contributo dei cittadini, dei media locali, e non solo quello dei partiti politici, che può  fattivamente aiutare nell’individuazione di personaggi di qualità che garantiscano tutti e costruiscano il futuro di San Giovanni in Fiore.

 Nel nostro paese sono ormai assenti i punti di riferimento.Il dibattito politico viene quotidianamente mortificato, per non dire che è del tutto assente. L’offrire ad un personaggio, distintosi nel campo della cultura, dell’imprenditoria o della libera professione,  l’opportunità di guidare una città come San Giovanni in Fiore, mi sembra essere, al punto in cui siamo, la cosa migliore. Questa personalità deve essere innamorata della città, spendendo con passione e dedizione il proprio servizio, le proprie competenze in favore dell’interesse collettivo e di una complessiva rinascita della nostra cittadina. Un personaggio con tali caratteristiche avrebbe dalla sua parte un solido supporto, sia da parte della società civile che dall’ampia componente associazionistica che opera nella nostra cittadina. Per tracciare una via d’uscita credibile occorre una profonda ed efficace operazione di ringiovanimento della classe politica, i politici vecchi si facciano da parte e si inseriscano facce, idee nuove, rifondando la politica. E’ importante che i giovani si facciano avanti, che siano studenti, insegnanti, liberi professionisti, commercianti, operai, piccoli imprenditori, albergatori, ristoratori, artigiani, per far sì che si crei una rinnovata atmosfera culturale, politica ed amministrativa che abbia positive ricadute anche sul fondamentale settore turistico, che potrebbe costituire una delle innumerevoli risorse su cui puntare per la crescita della città ed il benessere delle giovani generazioni, e che rimane trainante per San Giovanni in Fiore e per l’intero comprensorio. L’entusiasmo, le nuove idee, i volti puliti, le innovative progettualità, sono la chiave di volta per una sorta di rivoluzione del “sistema San Giovanni in Fiore” che rilanci e definisca le prospettive di crescita culturale, economica e sociale.

Nel Regno Unito la televisione non è più la regina dei mass-media.

Almeno per quanto riguarda la Gran Bretagna, la pubblicità su Internet  ha superato quella televisiva: 23,5% del totale rispetto al 21,9% della Tv. Una notizia molto importante: è infatti la prima volta che, in una grande economia pienamente sviluppata, la televisione viene buttata giù dal piedistallo.

Credo che la pubblicità e l’informazione online abbiano  ancora molti margini di crescita.

Alcuni già dicono che sia un fatto memorabile, altri invece dicono che sul sorpasso abbia pesato non poco la grande crisi.

Ma crisi o non crisi sta di fatto che ogni giorno che passa la gente si informa sempre di più sulla rete, abbandonando la carta stampata e anche un po’ la televisione. Inoltre stanno crescendo sempre di più gli adulti che utilizzano Internet. In un certo senso i naviganti invecchiano in quanto a navigare in rete non sono più principalmente i ragazzi, anzi. In Italia il 53% di chi va su Internet ha fra i 35 e i 55 anni. Secondo uno studio il 47% dei navigatori ha fra 14 e 34 anni, il 29% fra i 35 e i 44 anni e il 24% fra i 45 e i 55 anni. Altro dato riguarda il titolo di studio: chi naviga ha una cultura più alta della media: il 59% infatti è diplomato e il 32% laureato. “Ormai Internet  è un mondo adulto”.