COSA DEVE SUCCEDERE PIÙ?

Renzi, Guidi, Delrio, Boschi & Company, devono rassegnare subito le proprie dimissioni!

È ormai noto che più che un governo per i cittadini italiani abbiamo a che fare con un comitato d’affari che utilizza la cosa pubblica per gli interessi privati delle rispettive famiglie. Prima Banca Etruria ora Tempa Rossa e altro: con emendamenti in consiglio dei ministri. [Nelle intercettazioni si sente la Guidi rassicurare il suo caro compagno (proprietario di due società petrolifere) citando Maria Elena Boschi sul fatto che un emendamento a lui assai utile sarebbe stato presto approvato (e così è stato, al fotofinish)].

Questa gente invece che degli interessi dei cittadini si occupa di risolvere questioni aziendali a loro care.

È una vergogna! A casa subito! Tutti!

La responsabilità è soprattutto del governo e del suo capo Bomba!

Un’ottima risposta a queste indecenze, oltre alle dimissioni del governo del pinocchio Bomba, è andare tutti a votare (SI), domenica 17 aprile 2016, contro le trivellazioni marine!

Passate parola!!!

Meetup M5S SGF

Pensioni – La porcata Monti-Fornero.

PER I SINDACATI CHE MAI HANNO SPESO UNA PAROLA CONTRO LA LEGGE FORNERO SULLE PENSIONI E CHE OGGI INDICONO UNO SCIOPERO PER IL 2 APRILE 2016 PROSSIMO:

UNA PERSONA ALL’ETA’ DI 60 ANNI HA DIRITTO DI ANDARE IN PENSIONE e riposare dignitosamente e serenamente!

UN GIOVANE A 20-25 ANNI HA DIRITTO DI AVERE UN POSTO DI LAVORO e lavorare dignitosamente e serenamente!

PER QUESTO:

ABOLIZIONE TOTALE DELLA RIFORMA MONTI-FORNERO (ritorno alla quota 95), 35 anni di lavoro 60 anni di età, ben oltre i 55 medi della Germania!

Il tutto mentre il taglio alle pensioni d’oro non passa mai: quasi tutti i parlamentari della partitocrazia votano sempre contro… ROBA DA NARCO TRAFFICANTI!

Meetup M5S SGF

Un mondo migliore è possibile!

Perché gli amministratori regionali e comunali calabresi, a prescindere dai colori politici, non prendono a modello questo virtuoso Sindaco che con la sua politica umanitaria, onesta, semplice e intraprendente, ha dato dignità a coloro che sono considerati gli ultimi in questa nostra società, ma che a Riace, hanno fatto rinascere economia, valori, ormai persi, e soprattutto la speranza che una sana politica e, di conseguenza, un mondo migliore, sono ancora possibili?

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RIACE – Per il quarantesimo posto regalatogli dalla rivista statunitense Fortune, fianco a fianco con i grandi del mondo come il Papa o Tim Cook, Mimmo Lucano ha ricevuto i complimenti anche dalla presidente della Camera, Laura Boldrini. In un tweet, la terza carica dello Stato sottolinea la soddisfazione per il riconoscimento ottenuto da Lucano, «precursore per accoglienza e inclusione».
Ma il sindaco noto per aver fornito casa, lavoro, futuro e speranza a tanti migranti giunti sulle coste calabresi, non sembra godere dello stesso favore tra i politici locali. «In realtà – ha detto in una recente intervista – quando discutono di immigrazione a livello regionale neanche mi chiamano. Per me è stata una delusione perché immaginavo che il governatore Mario Oliverio, che come me viene da una tradizione di sinistra, sarebbe stato più aperto al confronto. Nel 2009, il vecchio presidente della Regione Agazio Loiero ha fatto approvare all’unanimità una legge conosciuta come Modello Riace. La presidente della Camera, Laura Boldrini, è venuta spesso da noi ed è nostra cittadina onoraria. Dalla Regione oggi non riusciamo neanche a farci ascoltare».

Di seguito pubblichiamo l’intervista a Mimmo Lucano realizzata da Alessia Candito per Repubblica:

C’è un italiano fra i 50 personaggi più influenti al mondo. Non ha incarichi di governo, né è a capo di un grande gruppo industriale. Il suo nome è Domenico Lucano e da tre mandati è il sindaco di un comune calabrese di poco più di duemila abitanti. Un quarto dei suoi concittadini non sono nati in Calabria. Arrivano dall’Afghanistan, dal Senegal, dal Mali, e da un’altra decina di paesi sparsi fra Asia e Africa, hanno rischiato la vita attraversando il Mediterraneo e a Riace ha trovato una casa. Per questo, si è guadagnato il quarantesimo posto nella classifica dei 50 personaggi più influenti al mondo della rivista Fortune, ed è gomito a gomito con personaggi come Angela Merkel, il papa e l’ad di Apple, Tim Cook. In passato invece, il sindaco Lucano ha fatto innamorare della sua Riace registi come Wim Wenders, che alla comunità ha dedicato anche il film “Il Volo”. «Qui non ci sono centri d’accoglienza, qui noi diamo loro una casa vera», dice orgoglioso il sindaco Lucano. Ma la sua esperienza in Calabria non fa scuola. Quanto meno a livello istituzionale. Eppure, da quasi vent’anni, proprio grazie ai migranti, il paese ha conosciuto una rinascita. Strade e case spogliate dall’emigrazione sono state ripopolate da una comunità multietnica che ha ridato vita e lustro anche agli antichi mestieri. I laboratori di ceramica e tessitura hanno riaperto le porte, ma anche bar, panetterie e botteghe hanno conosciuto nuova vita. Ha riaperto anche la scuola elementare, in passato chiusa per mancanza di studenti, è stato avviato un programma di raccolta differenziata grazie a due asinelli che si inerpicano per le strade strette del centro storico, mentre in paese hanno trovato lavoro anche mediatori linguistici e culturali «che altrimenti – dice il sindaco -avrebbero dovuto cercare lavoro fuori regione». Un modello – scrive Fortune – «che gli ha messo contro la mafia e lo Stato, ma è stato studiato e adottato come possibile soluzione alla crisi dei rifugiati in Europa».

– Lei è l’unico italiano in classifica. Si è chiesto come mai Fortune abbia scelto proprio lei?

«Sinceramente non so neanche chi abbia potuto proporre la candidatura. Forse una studentessa statunitense che ha lavorato su Riace, o una tv che si è occupata di noi. Ho saputo di essere stato inserito nella classifica di Fortune da chi mi chiamava per farmi i complimenti. Ma per me non è cambiato niente. Sono solo il sindaco di un piccolo paese che ci mette l’anima perché ha la sensazione di fare qualcosa di utile per le persone che vivono qui. Nonostante le difficoltà di un territorio condizionato da criminalità mafiosa, problemi ambientali, economici, dalla disoccupazione e dall’isolamento istituzionale, è un lavoro appassionante».

– Qual era la vita di Mimmo Lucano prima di diventare sindaco di Riace?

«Per moltissimi anni, sono stato un insegnante. Adesso sono in aspettativa, ma non ho mai vissuto di politica. Tanto meno ho intenzione di farlo in futuro. Sono stato anche io un emigrante a Torino, a Roma, prima di tornare in Calabria. In questo modo ho fatto la scelta più difficile. Come tanti calabresi, avrei potuto fermarmi lontano da qui, costruire la mia vita al nord, ma la voglia di tornare a casa era troppo forte».

– Con quale scopo?

«Quando ero all’università, da militante del movimento studentesco pensavo di poter partecipare alla costruzione di un mondo diverso, migliore. Poi quella via in Italia si è smarrita, ma a me è rimasta la voglia di fare qualcosa di concreto per cambiare le cose. Ci ho provato a Riace, ma non è stato semplice. La prima volta che mi sono candidato, non mi ha votato neanche mio papà. Poi nel 1998, sulle nostre coste è sbarcato un veliero pieno di richiedenti asilo curdi. E quell’esperienza mi ha segnato molto e ha cambiato tutto».

– Cos’è successo?

Anche grazie all’appoggio di Monsignor Bregantini, all’epoca vescovo di Locri che ha invitato ad aprire i conventi per accogliere i migranti, abbiamo avuto l’idea di utilizzare le case abbandonate del centro storico di Riace per dare ospitalità a un popolo in fuga. In paese non erano rimaste più di 400 persone, c’era una comunità che si spegneva giorno dopo giorno ed è rinata grazie agli ospiti. In seguito, Riace ha aderito al programma nazionale asilo ed è diventata luogo di transito di tantissimi migranti in fuga dai drammi del mondo. Questo ha dato speranza a chi è arrivato, ma anche alla comunità che li ha accolti».

– Questa esperienza è servita da modello in Calabria?

«In realtà quando discutono di immigrazione a livello regionale neanche mi chiamano. Per me è stata una delusione perché immaginavo che il governatore Mario Oliverio, che come me viene da una tradizione di sinistra, sarebbe stato più aperto al confronto. Nel 2009, il vecchio presidente della Regione Agazio Loiero ha fatto approvare all’unanimità una legge conosciuta come Modello Riace. La presidente della Camera, Laura Boldrini, è venuta spesso da noi ed è nostra cittadina onoraria. Dalla Regione oggi non riusciamo neanche a farci ascoltare».

– Si è mai pentito di essere tornato in Calabria?

«No, ma non è stata una scelta facile. Ho penalizzato anche la mia famiglia per questo. Io adesso mi trovo da solo, perché mia moglie è a Siena, i miei figli studiano a Roma. Però quest’esperienza, per quanto non pretenda di risolvere i problemi del sud Italia, da un contributo. Mostra che è possibile anche un altro modo di fare le cose».

Fonte “Corriere della Calabria”

Calabria – Sostenere la Magistratura!

Premesso che la responsabilità penale è personale. Premesso che la presunzione di innocenza è prevista nella costituzione della Repubblica Italiana e si considera tale, per prassi, sino alla sentenza di condanna confermata all’eventuale terzo grado di giudizio della Corte Suprema di Cassazione, oggi, la Magistratura, per il lavoro che, qui in Calabria, sta svolgendo, va sostenuta senza se e senza ma!

Per non ammorbare e uccidere ulteriormente ogni speranza di questa nostra martoriata terra di Calabria, contro la malversazione, la corruzione, la malapolitica, il potere clientelare, la grassazione di denaro pubblico ecc, come calabresi abbiamo il dovere di svegliarci e di far risvegliare le coscienze di tutti per un futuro migliore.

Tutto ciò lo si può fare, oltre che con una politica onesta e sana, anche sostenendo moralmente e con forza la Magistratura, avendo fiducia in essa, ma soprattutto, con i pericoli annessi e connessi che la stessa corre, apprezzandone e riconoscendone il lavoro quotidiano, nonché l’impegno costante, che profonde per il bene di tutti noi cittadini calabresi.

Buona Pasqua a tutti voi!

Meetup M5S SGF

Più ricchezza = più felicità?

È stato presentato il Rapporto Mondiale della Felicità del 2016.

Secondo la classifica redatta dal Sustainable Development Solutions Network (Sdsn), organismo dell’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), è la Danimarca quest’anno, superando la Svizzera, il Paese più felice al mondo, l’Italia è solo 50esima.

Secondo un’altra classifica il podio delle Smart city viene conquistato dalla Città di Bologna, classifica che riflette in buona parte il grado di dinamicità di città da sempre nell’avanguardia italiana per trend di innovazione urbana e sociale. Il rapporto classifica lo sviluppo di reti e infrastrutture intelligenti delle città italiane, misurandone la capacità di innovare e offrire servizi di qualità ai cittadini.

Detto questo una domanda, come penso a tante altre persone, mi sorge spontanea:

è vero che dove c’è più benessere, più tecnologia, più crescita economica e più ricchezza si vive meglio e si è più felici?

Certo, la Danimarca non è il Paese più ricco del mondo, ci sono in gioco altri elementi, come la sicurezza nazionale, la qualità dei servizi, il lavoro e il reddito di ogni suo cittadino. Ma se l’equazione «più ricchezza = più felicità» fosse vera, allora tutti i ricchi dovrebbero essere felici e tutti i poveri dovrebbero essere infelici.

Qualcuno, poi, potrebbe obiettare, come al solito, che se la ricchezza non è la felicità, figuriamoci se lo è la povertà.

Tutti sappiamo, però, che, nella realtà, le cose non stanno così!

Stando ad alcuni studiosi, sociologi ed intellettuali di chiara fama nazionale e mondiale, ma anche secondo alcune inconfutabili statistiche, non è vero che dove c’è più benessere, più tecnologia, più crescita economica e più ricchezza, si vive meglio e si è più felici.

Infatti, a parte i suicidi dovuti a quest’ultima crisi, le statistiche dicono che dove c’è più benessere, più ricchezza, più tecnologia, come nei cosiddetti paesi occidentali, il numero dei suicidi è molto più alto che in altri paesi meno sviluppati.

A conferma indiretta che il suicidio è strettamente legato alla «società del benessere», cioè alle società ricche, nonché all’industrialismo in genere, c’è anche il dato dell’Italia:

Nord-est e Nord-ovest sono le ripartizioni con i livelli di mortalità per suicidio più alti, il Centro e le Isole oscillano su valori prossimi alla media nazionale, mentre il Sud presenta valori nettamente inferiori.

Insomma con il “modo di vivere” occidentale, con i nostri stili di vita, con un certo reddito, sviluppo, e, soprattutto, con il nostro consumismo, tutto a discapito del nostro ambiente, viene fuori una conferma. La conferma è questa: il benessere fa male!

Sempre secondo alcuni studiosi, sociologi ed intellettuali, il cosiddetto benessere, infatti, è causa di un crescente malessere in tutto il mondo occidentale. La linea ascendente del malessere corrisponde esattamente a quella del benessere tanto che, se si facesse un grafico, esse coinciderebbero.

Ma anche altre statistiche, grafici ed indicatori ci dicono che la «società del benessere» non equivale a più serenità, felicità, tranquillità e contentezza. Oggi come ieri, per esempio, è in aumento anche la malattia mentale. Non c’è alcun dubbio che le malattie mentali abbiano avuto un’impennata con la rivoluzione industriale, siano diventate un problema sociale nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento, per esplodere come segno di disagio acutissimo nel secondo dopoguerra sino ad oggi.

Il benessere, dunque, fa male. Esso ci offre e ci apporta, senza alcun dubbio, un maggior numero di beni materiali, oggi anche virtuali con le nuove tecnologie, ma non migliora sicuramente la qualità della nostra vita. Anzi sotto tantissimi aspetti la peggiora, non ci dà la felicità, ma aumenta, sotto tantissimi altri aspetti, la nostra quota d’infelicità, aumenta la nostra ansia, il nostro egoismo, la nostra ingordigia.

Lo sviluppo, il benessere, il consumismo ecc., forse non sono altro che un inganno, un’illusione ottica, facendoci percepire, in modo scorretto, qualcosa che poi nella realtà si presenta diversamente. Insomma un crudele miraggio che ci galvanizza, ci eccita, ci attrae con i suoi bagliori per poi fregarci e schernirci.

Questo “modo di vivere”, questo sistema di produrre, di consumare, inutile poi bloccare gli sprechi alimentari per legge, questa «società del benessere», incuranti di tutto, corrono velocissimamente, a perdifiato verso una crescita ancora maggiore, esponenziale, cercando di intaccare e contagiare anche quei rari popoli, quelle società umane che in qualche modo ne erano scampati.

Vanno veloci, corrono sempre di più questo modello di sviluppo e questa «società del benessere», in pompa magna, con ritmo incalzante, con incedere maestoso, con le loro inattaccabili certezze.

Corre sempre di più , questa «società del benessere», come un treno ad altissima velocità in costante aumento, ormai senza più il macchinista, senza freni, senza alcun controllo, con la gente ignara sopra, verso la prima, non più tanto lontana, curva delle crescite esponenziali, dove una strana forza centrifuga è in attesa, probabilmente, per lanciarlo in un profondo precipizio a strapiombo.

Spero solo, a tutela delle future generazioni, che ci sia un qualche modo per rallentare, per frenare questa folle corsa, che ci sia ancora il tempo per uno sviluppo e una crescita più sostenibili e più equilibrati, ma soprattutto per una crescita economica più giusta, più solidale, più umana, senza che venga mai più discriminato alcun popolo sulla faccia della terra!

Pietro Giovanni Spadafora

Bruxelles – Massimo Fini aveva previsto tutto.

Il terrorismo nasce dai bombardamenti.

Massimo Fini: “A Parigi hanno dimostrato di poter colpire ovunque. Contro questo terrorismo siamo completamente indifesi”.

Intervista al giornalista che fu tra i primi a lanciare l’allarme Isis: “La loro grande forza sta nel fatto che hanno molti uomini che sono disposti ad andare a morire per la causa, al contrario di noi…”

Massimo Fini, collaboratore del Fatto Quotidiano e per anni inviato delle più importanti testate italiane, autore di numerosi libri (ultimo dei quali l’autobiografia “Una vita”), è stato recentemente insignito del Premio Montanelli. Ragionando sulla situazione caotica che stiamo vivendo dopo gli attacchi di Parigi, Fini non si abbandona, come troppi stanno facendo, a pensieri consolatori, iracondi o buonisti. Da intellettuale nelle viscere – non per gioco o per specchio – mette sul piatto la lucidità, con quel riflesso fastidioso ma salutare che è il cinismo. L’antidoto migliore contro il caos e la paura: il pensiero.

Intervista su LIBERA TV di Andrea Leoni,  15 novembre 2015

Massimo Fini, innanzitutto qual è la sua prima lettura su quanto successo in Francia?

“Pensi che proprio ieri mi avevano telefonato da un network italiano chiedendomi qualche previsione sul futuro e avevo affermato che l’Isis avrebbe portato gli attacchi in Europa. Francesi, americani e russi si sono immischiati in una guerra in cui non c’entravano nulla. La risposta dello Stato Islamico, essendo impossibilitati a contrastarci sul piano militare con aerei o droni, è stata quella di portare la guerra in casa nostra con i mezzi che hanno a disposizione: kamikaze, bombe, assalti al kalashnikov. Senza dimenticare l’aereo russo abbattuto negli scorsi giorni nei cieli del Sinai. La loro grande forza sta nel fatto che hanno molti uomini che sono disposti ad andare a morire per la causa, al contrario di noi che non saremmo disposti neanche a sacrificare un dito”.

Perché questi attentati parigini sono diversi da quelli che abbiamo finora vissuto in Occidente?

“C’è un elemento di grossa novità. Gli uomini dell’Isis non hanno preso di mira obbiettivi simbolici, come accaduto solo poco tempo fa con la redazione di Charlie Hebdo. Hanno dimostrato di poter colpire ovunque ottenendo addirittura un risultato superiore rispetto al classico attentato nel luogo simbolo. Tutto questo dimostra che siamo completamente indifesi. Ed è questo secondo me il messaggio più forte che hanno voluto mandare”.

Questi attentati sono solo l’inizio?

“Penso proprio di sì. E penso che questa ondata terroristica coinvolgerà anche altri Paesi europei. La Gran Bretagna in primis e forse l’Italia. Anche se noi italiani abbiamo finora avuto la saggezza di starcene fuori, limitandoci a vendere qualche arma ai curdi”.

Pensa che la Francia adesso andrà a combattere l’Isis sul terreno?

“Potrebbe succedere che la Francia mandi delle truppe di terra, almeno ascoltando le dichiarazioni del presidente Hollande. Per il momento sul terreno abbiamo combattuto l’Isis per interposta persona, con i curdi dopo averli massacrati per anni, e con i pasdaran iraniani. L’unica scelta sensata a questo punto, seguendo il ragionamento del presidente francese, non può che essere quella di combattere finalmente sul serio, non solo per via aerea con i bombardamenti. Non vedo altra soluzione….Detto questo c’è anche un’altro tipo di lettura che si può fare. La reazione che ha avuto l’Isis a Parigi potrebbe essere un segno di debolezza. Ora che sono attaccati da tutti mi pare stiano perdendo un po’ di terreno. Magari questi attentati sono in realtà soltanto una sorta di mossa della disperazione”.

Ritiene gli attentati in Francia cambieranno il nostro modo di vivere in Europa?

“Gli attacchi di Parigi da soli non cambieranno il nostro modo di vivere. Se invece attentati simili dovessero ripetersi in altri Paesi la situazione diventerebbe abbastanza terrorizzante e allora sì che potrebbero esserci dei mutamenti sostanziali nella società occidentale. D’altra parte, ripeto, quanto successo in Francia dimostra che si può essere colpiti anche stando in un ristorantino qualsiasi o in una sala da ballo. Le intelligence certo possono filtrare i pericoli. Ma la stessa Francia era già in allarme, eppure questo commando ha agito lo stesso e in modo piuttosto efficace. Da questo terrorismo non ci si può difendere”.

Le prime indagini hanno già accertato che uno degli attentatori è un francese di 20 anni. Alla luce di questo fatto come giudica una delle prime misure prese dal Governo francese, ovvero la chiusura delle frontiere? 

“La chiusura delle frontiere è inutile. Da informazioni che girano pare anche che uno degli attentatori sia un bianco. Staremo a vedere. Ma di certo sarà interessante capire se gli attentatori erano arabi di seconda o terza generazione che vivevano in Francia o in Europa, oppure addirittura se fra loro c’erano francesi convertiti. Se così fosse si aprirebbe uno scenario ancora più importante e spaventoso. Quel che è certo, ed è il punto centrale della questione, è che l’Occidente è debole perché non abbiamo più valori, mentre quelli dell’Isis ne hanno di fortissimi, pur sbagliati che siano. Detto in altro modo: non è che uno può vivere avendo come unico scopo il passaggio dall’Opel alla BMW. E in Occidente per molti è solo questa la prospettiva di vita. Ecco perché l’Isis è così forte rispetto a noi”.

A questo proposito nel video di rivendicazione c’è un passaggio estremamente interessante. I guerriglieri si rivolgono direttamente ai diseredati: “Smettetela di farvi umiliare, di chiedere la carità, di mendicare un assegno di disoccupazione: unitevi a noi e combattete”, dicono in sostanza i protagonisti del video. È un messaggio con una fortissima componente sociale e che, di conseguenza, sottintende una ribellione alle ingiustizie. È quasi un proclama rivoluzionario. Come se non fosse più soltanto una guerra religiosa ma anche di giustizia sociale. 

“Sono d’accordo. Ed è un messaggio che può far presa su molti. Penso ai migranti per fame dei Paesi del centro Africa dove c’è la miseria che abbiamo portato noi. Ma penso anche alle società occidentali, soprattutto quelle dei Paesi più ricchi, dove ci sono delle sperequazioni impressionanti fra chi ha tutto e chi ha niente. Io già all’inizio del fenomeno Isis avevo scritto che non si trattava soltanto di una guerra di religione e questo messaggio di rivendicazione non fa che confermarlo. Un altro elemento importante, ad esempio, riguarda la ridefinizione dei territori di Iraq e Siria che, non dimentichiamolo, sono stati definiti dagli inglesi negli anni 30. Ci sono dunque più elementi in gioco. E uno di questi è senz’altro anche una rivolta dei poveri e degli sfruttati contro i ricchi e gli sfruttatori”.

Se lei fosse chiamato a decidere che cosa farebbe a questo punto: andrebbe a combattere l’Isis sul terreno?

“Io riconoscerei il Califfato e tratterei con loro fissando una condizione elementare: finché state a casa vostra noi non ci immischiamo, ma come mettete fuori la testa dai confini, anche con azioni tipo quella di Parigi, è guerra aperta”.

Ora si aprirà il consueto dibattito in tutti i Paesi occidentali su che tipo di rapporto instaurare con le comunità islamiche. Lei che approccio suggerisce? 

“Meno siamo aggressivi e meglio è. Il Mondo islamico è molto vasto e se c’è una parte che apertamente non simpatizza affatto per l’Isis, ce ne è un’altra che invece lo sostiene eccome, anche se magari non lo dice. Noi abbiamo certo contribuito a una radicalizzazione di una parte dell’islamismo. Ma ora ci troviamo di fronte a una controparte assolutamente nuova e che non conosciamo quasi per niente. E quindi è molto complesso prendergli le misure e decidere cosa fare. Faccio un esempio: avessimo davanti l’Arabia Saudita potremmo dire come voi non fate costruire le chiese sul vostro territorio anche noi proibiamo la costruzione delle moschee. Ma qui non sappiamo bene con chi stiamo parlando e di chi stiamo parlando. È davvero una situazione molto difficile”.

C’è chi sostiene che l’Isis in realtà non sia affatto un fenomeno autonomo e sia solo uno specchietto per le allodole, abilmente manovrato da Paesi come l’Arabia Saudita o il Qatar, che utilizzano lo Stato Islamico per non sporcarsi le mani direttamente. Lei ci crede? 

“Io sono contrario alle dietrologie. C’è addirittura chi dice che l’Isis sia manovrato dagli Stati Uniti. Non credo a queste storie. Se lo Stato islamico non è ancora un fenomeno autonomo è sicuramente qualcosa che è sfuggito dalle mani dell’apprendista stregone. È qualcosa che va molto al di là di qualsiasi Arabia Saudita”.