San Giovanni in Fiore – Lavoro, salute, felicità: diritti impossibili?

Quotidianamente scriviamo, parliamo, discutiamo, argomentiamo, e spesso litighiamo per difendere tutti i nostri diritti, almeno tutti  quelli che la nostra Costituzione prevede.

Ci riempiamo la bocca di diritti: abbiamo diritto a questo, abbiamo diritto a quello e abbiamo diritto a quell’altro! Lo prevede questo e lo prevede quest’altro! Per esempio, prendiamo il primo articolo della nostra Costituzione, il primo dei princìpi fondamentali (artt. 1-12).

L’articolo 1° della nostra Costituzione sostiene solennemente: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

Ora è chiaro che questo articolo è espressione della  nostra cultura liberista insieme a quella cattolica, ma anche di quella marxista che ha, comunque, del lavoro, una concezione molto diversa.

(Marx definisce il salario come prezzo di un determinato tempo o di una determinata prestazione di lavoro, una merce dunque come le altre, che si scambia con il denaro del capitalista, necessario per sopravvivere, una “merce speciale, che è contenuta soltanto nella carne e nel sangue dell’uomo”)

Queste culture hanno contribuito, poi negli anni, a costruire  e a scrivere la nostra Costituzione.

Ma stando ai fatti, alla sostanza, alla realtà odierna, alla realtà  sangiovannese dove è in corso uno spopolamento continuo, come alle realtà di tanti altri comuni e centri italiani, ma forse anche alla realtà europea nonché a quella mondiale, e grazie a un certo modo di fare politica, a un certo modo di amministrare le risorse pubbliche, probabilmente, il diritto al lavoro non esiste più.

Possibile che si stesse meglio prima? Non è che la Fornero (si proprio l’ex Ministro della famigerata legge sulle pensioni) avesse ragione quando dichiarava che non esiste alcun diritto al lavoro?

Può darsi che il diritto al lavoro, il diritto alla salute o alla felicità, appartengano alle astrazioni, alle idee irreali e alle fantasticherie di questa nostra nuova società, di questo nostro tipo di modernità, di questa nuova politica, che nulla hanno a che fare con la realtà di tutti i giorni, con i cittadini, con le comunità, con il popolo, con le tradizioni, con la nostra vita reale. Sono diritti diventati impossibili, diritti che esistono solo sulla carta, perché nessuno, in questo stato di cose, con questa classe partitica, con questa classe dirigente, fosse anche Gesù Cristo, può garantirli.

Parliamoci chiaro, la salute esiste quando c’è, se non c’è, non esiste, quindi non esiste un suo diritto. Dovrebbe esistere, invece, in una situazione normale, in un Paese civile, il diritto, almeno, ad un’assistenza sanitaria dignitosa.

Esistono solo dei rari momenti della vita di una persona, in rapidi lampi, in qualche attimo fuggente e sempre ricordati e rimpianti, che noi chiamiamo felicità, ma non esiste un diritto alla felicità. Ma anche se esistesse un tale diritto, non tutti saremmo felici.

Così, in una società, se il lavoro non c’è, è inutile sancirne il diritto. Rimane solo sulla carta. Ciò che oggi in una società moderna come la nostra possiamo pretendere, probabilmente, è un’altra cosa: l’assicurazione, almeno, da parte delle pubbliche istituzioni, di una vita dignitosa, anche per chi il lavoro non ce l’ha e non lo può trovare.

Prima della Rivoluzione Industriale, avvenuta gradualmente tra i primi decenni e la metà del XVIII secolo, ma anche ascoltando alcuni racconti  più recenti dei nostri nonni e bisnonni, il lavoro non era un valore, un’ansia, una preoccupazione, una ricerca affannosa dello stesso, tanto che era nobile chi non lavorava, e artigiani e contadini lavoravano per quanto gli bastava. Il resto era vita.

Non che artigiani e contadini non amassero il proprio mestiere, certamente lo amavano di più di una ragazza dei call-center, di un impiegato, di un operaio che, a differenza del contadino e dell’artigiano, fanno un lavoro parcellizzato, spersonalizzato e senza entusiasmo, ma non erano disposti a sacrificargli più di quanto era necessario al fabbisogno essenziale. Si, perché il vero valore, nei tempi antichi, era proprio il “Tempo”.

“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Vero! Ma in realtà, oggi, come quasi in ogni Paese industrializzato, visti gli stipendi e le pensioni da fame, le scarsissime opportunità per i giovani, l’inesistente politica del Welfare, gli abusivi governi precedenti e l’attuale, con quest’Europa delle banche e dell’austerità, e, tolte le varie caste politiche insieme a tutte le altre corporazioni che si arricchiscono sempre di più, la nostra è una società fondata sulla schiavitù. Siamo “schiavi salariati”, come diceva Nietzsche!  E chi non ha un lavoro, o lo cerca, è ancora più schiavo, perché comunque viene spolpato da tasse e imposte.

Paradossalmente il “diritto al lavoro”, in una cosiddetta società moderna come la nostra, diventa un “diritto alla schiavitù”, e forse, oggi, con una disoccupazione giovanile, e non solo, alle stelle (la disoccupazione di massa è nata con la Rivoluzione Industriale), grazie all’industrialismo e al paranoico consumismo, perché oggi non si produce più per consumare, ma si consuma, inventando nuovi inutili e superflui bisogni, per produrre sempre di più (sino a quando?), con le deleterie conseguenze ambientali, di denaro, finanziarie, di arricchimenti illeciti, di criminalità, psicologiche ecc., è diventato un “diritto impossibile”.

PGS

San Giovanni in Fiore – Lavoro, salute, felicità: diritti impossibili?ultima modifica: 2017-02-12T16:44:01+01:00da pietrogiovanni1
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