SANITÀ – LA DIFFERENZA

L'immagine può contenere: una o più personeLETTERA Calabria: gli ospedali di Locri e Polistena
GIOVEDÌ 28 FEBBRAIO 2019

Per mia sventura ho visto il servizio televisivo de “Le Iene” dedicato agli ospedali da incubo di Locri e Polistena, dell’Azienda Sanitaria di Reggio Calabria. Ciò che lascia esterrefatti non è tanto lo stato di degrado che si osserva, che è da film horror (dire da incubo è ancora poco), quanto il fatto che tutto ciò che è stato documentato sia oggetto di denuncia da oltre 15 anni senza che chi di dovere abbia fatto o concluso alcunché per imporre il rispetto delle leggi e assicurare alla giustizia i criminali responsabili di un degrado inimmaginabile e penalmente rilevante di tipo gestionale e amministrativo, che è diventato poi di conseguenza anche strutturale e sanitario. Qualcuno avrà avuto ufficialmente il compito di fare i controlli previsti per legge e avrà magari denunciato le inadempienze. Qualcun altro avrà dovuto occuparsi delle denunce o provvedere a dare esecuzione a quanto previsto dalla legge. Evidentemente nulla di tutto ciò ha funzionato. A questo punto il problema, da locale, diventa governativo. Qualcuno, che sia il presidente di regione, il ministro della Sanità, il Governo, il Parlamento, il Presidente della Repubblica, o chi per essi, per legge se ne dovrà ben occupare e dovrà dipanare la matassa. Non è pensabile che in un Paese che non sia totalmente alla deriva una situazione del genere sia tollerabile. Dovremo rivedere un analogo servizio televisivo che documenta le stesse condizioni di degrado tra altri 15 anni? Ma che razza di Paese è l’Italia? Se questa è la realtà e se non siamo su “Scherzi a parte”, vuol dire che siamo messi bene! Possibile che l’ospedale di Locri, che cade a pezzi, con sporcizia dappertutto e gravissime carenze di personale, spenda per 460 posti letto 800 milioni l’anno pagati con le nostre tasse e non sia in grado di offrire gli stessi servizi del Policlinico di Milano, che con 912 posti letto costa all’anno 430 milioni, e che non tenga un registro delle spese? Governo o Presidente, per pietà, pensateci voi.

Omar Valentini, omvalentini@gmail.com

Fonte Italians – CORRIERE DELLA SERA

CALABRIA – OSPEDALI DA INCUBO.

CHE COSA C’ENTRA QUI IL NORD? L’AUTONOMIA DI ALCUNE REGIONI? IL RAZZISMO E I NORDISTI?

SPERIAMO INTERVENGANO, AL PIU’ PRESTO POSSIBILE, TUTTE LE ISTITUZIONI DI CONTROLLO E DI LEGGE PREPOSTE A TUTTI I LIVELLI!

https://www.iene.mediaset.it/video/ospedali-incubo-calabria-ndrangheta-ministro-salute-giulia-grillo_316406.shtml?fbclid=IwAR0LzCO1xHPNL1ccaeiQs-uU66434fP4LV31V_MqwM0uCJ_l6WAdjxTcyhs

 

ELEZIONI REGIONE SARDEGNA 2019

Nessuna descrizione della foto disponibile.Aspettando i dati definitivi, il M5S potrà (?) anche risultare, nei territori, la prima forza politica, ma senza alcuna alleanza, né senza un minimo di organizzazione e organismi interni, centrali e periferici, non avrà alcun peso, e non ci sarà alcun cambiamento.

Di contro si riconsoliderà la vecchia partitocrazia per la solita politica e il solito sistema. E la rassegnazione regnerà sovrana.

A meno che, ancora, qualcuno pensi che nelle prossime tornate elettorali il M5S raggiungerà il 50+1% dei consensi, correre da soli potrebbe anche andare bene.

Con qualche alleanza, con dei programmi seri per i territori, invece, si potrà sperare in qualcosa: Governo attuale docet!

Intanto in Calabria, i soliti portavoce nazionali ed europei M5S, continuano a brancolare nel buio, da soli, sparsi, ma come un’armata Brancaleone…, l’importante è lo stipendio, passa oggi e viene domani, anche loro hanno famiglia.

Complimenti!

BLOG SGF IN PIAZZA

CALABRIA – Assurdo: la regione più povera d’Europa ha i più alti costi della politica.

Nessuna descrizione della foto disponibile.Noi cittadini calabresi abbiamo pagato circa 600 Miliardi (seicento miliardi) delle vecchie lire solo per l’anno 2018.

CODACONS: “ORGANI REGIONALI COSTANO AI CALABRESI 304MILIONI L’ANNO”

A far da contraltare ai sacrifici, sempre più pressanti, imposti ai Cittadini, ci sono i costi enormi della politica ed il paradossale livello di disservizi offerti ai Calabresi.

Sbirciando tra i dati riportati nel bilancio della Regione Calabria – sostiene Francesco Di Lieto del Codacons – si scorgono dei dati che destano preoccupazione poiché in decisa controtendenza rispetto ai proclami tesi ad una drastica diminuzione ovvero al contenimento delle spese per la “politica”.

Dal bilancio emerge che nel 2018 il funzionamento degli organi istituzionali della Regione è costato a tutti i Calabresi ben 304milioni di euro.

Una cifra stratosferica, praticamente 832.200 euro al giorno, quasi 10 euro ogni secondo.

Uno sberleffo per le famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese.

Prendendo come fonte proprio i numeri contenuti nel bilancio di previsione 2018-2020, viene fuori che la macchina “politica” per funzionare ha bisogno di cifra elefantiache.

Il tutto nell’ultima regione d’Europa ma con il primato dei costi della politica.

La spesa, infatti, rappresenta una delle più alte in Italia e serve a garantire il compenso a Consiglieri, Assessori, Gruppi, Segretari particolari, Strutture dei Consiglieri…

Un Ente che appare sempre più simile ad un ufficio di collocamento e che, purtroppo, oggi non sembra assolvere in maniera soddisfacente nessuna delle sue funzioni in un’ottica di sviluppo e miglioramento delle condizioni di vita dei Calabresi.

Per avere un’idea di quanto ci costa mantenere questi organi regionali basti pensare che se dovessimo tentare di mettere in fila dei biglietti da 5 euro, per comporre la cifra spesa dalla Regione Calabria, partendo da Catanzaro arriveremo fino a Dakar e le banconote non sarebbero ancora esaurite.

In questo contesto – sostiene il Codacons – invece di pensare a reintrodurre i vitalizi, ai consiglieri in carica ed a quelli futuri, sarebbe doveroso pensare a come abbattere le spese finora impiegate per far funzionare la Regione.

FONTE Strill.it

POLITICA – Caso Diciotti: suicidio per il M5S se si vota per processare Salvini.

L'immagine può contenere: 1 personaQuesta volta la piattaforma “Rousseau” e tutto il M5S hanno toppato! Eccome!

Sulla vicenda del caso Diciotti hanno ribaltato il quesito: con il voto SI si salva Salvini, con il voto NO si condanna Salvini.

Invece sulle autorizzazioni a procedere sui ministri si è sempre votato NO all’autorizzazione a procedere e SI all’autorizzazione a procedere.

Una “Formulazione non chiara”!

Ci sarebbe, forse, l’intento di stravolgere il quesito per condizionare il voto e fare cadere il Governo?

Così non va!

Non si può essere credibili, né più credibile è questa sorta di piattaforma online, cosiddetta “Rousseau”, e si è visto anche con le candidature alle politiche del 4 marzo scorso. Tutte candidature sballate!

A parte che con l’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini sarebbe un voto contro il Premier Conte e contro tutto il Governo M5S-LEGA, ma un voto favorevole all’autorizzazione a procedere contro il Ministro Salvini, sarebbe un perfetto suicidio di tutto il M5S!

E se cadrà questo Governo, a nostro avviso, sia chiaro, si ritorna indietro!

E assurdo sarebbe, sempre a nostro avviso, processare un ministro per avere difeso l’Italia!

E assurdo sarebbe, ancora, a nostro avviso, votare contro il ministro che è anche il capo della forza politica con la quale vi è un contratto e un accordo di governo!

BLOG SGF IN PIAZZA

LA TRUFFA DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA.

L'immagine può contenere: 1 persona, persona sedutaLa Democrazia può morire pure di troppe elezioni.
Di Massimo Fini

Mai come in questo periodo storico, in Italia ma non solo in Italia (si pensi a Donald Trump che sotto le elezioni di middle term è stato indotto a prendere decisioni che non riteneva le più efficaci ma le più popolari) la democrazia rappresentativa dimostra la propria debolezza e i propri limiti strutturali, come regime adatto a governare un Paese.

Il politico, meglio l’uomo di Stato, dovrebbe pensare in grande stile, avere una visione che va al di là del proprio naso, lungimirante, che copra perlomeno i quattro o i cinque anni del suo mandato. Ma anche se avesse queste doti non può esercitarle. Oggi oltre alle elezioni politiche ci sono quelle amministrative, comunali e regionali, quelle europee e, per non farci mancar nulla, i sondaggi più o meno a scadenza mensile. L’uomo politico, anche quello in teoria valido, in presenza di una qualsiasi di queste elezioni è quindi costretto a prendere decisioni sull’“hic et nunc” che gli possano garantire maggior consenso anche nella prospettiva di quelle successive, ma che non è affatto detto che siano le più efficaci.

C’è modo di limitare questa debolezza? In parte sì. Bisognerebbe accorpare le amministrative nello stesso giorno e non come ora per cui un mese si vota in Abruzzo, un mese dopo in Sardegna, un altro, poniamo, in Piemonte, un altro ancora in Lombardia, e farle svolgere negli stessi giorni in cui si tengono le elezioni politiche. Una cosa similare dovrebbe essere fatta per i singoli Stati dell’Unione europea, in cui almeno le elezioni politiche dovrebbero tenersi tutte nello stesso periodo. Perché un’elezione, poniamo in Polonia, può influenzare e condizionare le elezioni di altri Paesi, tanto più perché nel Parlamento europeo agiscono gruppi che non sono omogenei con quelli dello Stato di appartenenza. Infine bisognerebbe eliminare i sondaggi perché influenzano surrettiziamente l’elettorato e quindi anche l’uomo politico che all’elettorato deve rispondere. Inoltre i parlamentari che agiscono all’interno dei partiti, e questo in Italia lo vediamo benissimo, si spostano dall’uno all’altro gruppo non secondo una coerenza ideale o ideologica ma per la propria convenienza personale. Per cui per evitare che siano di fatto i segretari di partito o il loro entourage a imporre i candidati, con tanti saluti alla libertà dell’elettore, non era poi così strampalata la proposta di Beppe Grillo di ricorrere al sorteggio.

La democrazia diretta eliminerebbe alcuni dei limiti e delle storture di quella rappresentativa? In teoria sì, nella pratica no. La democrazia diretta può essere esercitata solo in un ambito ristretto (non a caso Rousseau l’aveva immaginata a Ginevra che allora aveva circa 100.000 abitanti) dove l’elettore agisce sul suo, cioè sa su che cosa deve decidere. Ma in una democrazia diretta universale, globale, utilizzando gli strumenti della tecnologia digitale, come l’aveva immaginata Gianroberto Casaleggio, l’elettore sarebbe chiamato a decidere su cose di cui non sa nulla.

Per la verità una democrazia diretta, ristretta a una comunità ben precisa, è esistita in epoca preindustriale. Nella società del villaggio l’assemblea dei capi famiglia, in genere uomini, ma anche donne se il marito era morto, decideva su tutto ciò che riguardava il villaggio. Scrive lo storico francese Soboul: “Le attribuzioni delle assemblee riguardavano tutti i punti che interessavano la comunità. Essa votava le spese e procedeva alle nomine; decideva della vendita, scambio e locazione dei boschi comuni, della riparazione della chiesa, del presbiterio, delle strade e dei ponti. Riscuoteva ‘au pied de la taille’ (cioè proporzionalmente) i canoni che alimentavano il bilancio comunale; poteva contrarre debiti ed iniziare processi; nominava, oltre ai sindaci, il maestro di scuola, il pastore comunale, i guardiani di messi, gli assessori e i riscossori di taglia”. Un’altra importante attribuzione dell’assemblea si aveva in materia di tasse reali, era infatti l’assemblea che ne fissava la ripartizione all’interno della comunità e la riscossione. Insomma la democrazia è esistita quando non sapeva di essere democrazia.

Questo sistema, che aveva funzionato benissimo per secoli, s’incrinerà in Francia proprio alle soglie della Rivoluzione francese quando sotto la spinta degli interessi e della smania di regolamentazione dell’avanzante borghesia un decreto reale del 1787 introdurrà il principio secondo il quale non era più l’assemblea del villaggio a decidere direttamente ma attraverso l’elezione di suoi rappresentanti. Era nata la democrazia rappresentativa. Quella che viviamo attualmente e che democrazia non è e non è mai stata ma è formata da oligarchie o poliarchie, come le chiama pudicamente Sartori, in cui delle minoranze dominano sulla maggioranza dei cittadini e che, in linea di massima, non sono legittimate da nulla se non dalla potenza del denaro.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2019