Panem et circenses

L'immagine può contenere: una o più personeFustigatore e grande osservatore della società romana e dei suoi costumi, il poeta Decimo Giunio Giovenale dicendo che il popolo desiderava ansiosamente due cose, il pane per sfamarsi e l’intrattenimento dei giochi del circo per divertirsi, coniò una locuzione che, dopo duemila anni, ancora oggi è usata per la sua forza comunicativa: Panem et circenses.

Essa sintetizza e simboleggia la politica degli imperatori romani nei confronti del popolo: in cambio di “pane e circo”, gratis, il popolo rinunciò al suo potere politico e ad ogni diritto di manifestare la propria volontà, lasciando agli imperatori campo aperto per qualsiasi azione.

Il popolo di cui si parla è la plebe della città di Roma, costituita da disoccupati che si iscrivevano nelle liste della distribuzione del frumento e formavano il pubblico delle feste e dei giochi.

Essi sopravvivevano grazie proprio a queste elargizioni imperiali e trascorrevano tutta la loro giornata preferibilmente al circo, dove si svolgevano le corse delle bighe, negli anfiteatri, dove c’erano le lotte fra gladiatori e quelle con gli animali feroci, e nei teatri.

I circenses erano, quindi, usati per divertire, cioè per allontanare dalle preoccupazioni e dagli affanni (dal latino de, particella che indica allontanamento, e vertere, che significa “volgere”: volgere altrove, deviare) e dare piacere.

Da allora i potenti, quando hanno bisogno di avere un popolo imbelle e ossequioso che lasci loro mano libera in tutto, adottano gli stessi metodi politici bassamente demagogici.

Quando le persone sono psicologicamente o culturalmente deboli, l’offerta del divertimento da parte del politico di turno è una carta vincente per guadagnare o aumentare enormemente il proprio potere di influenza.

Così si possono organizzare anche divertimenti momentanei, perché siano, come i circenses romani, grandi strumenti di distrazione di massa, distrazione dai problemi reali e strumento di consenso per chi li ha offerti.

“Mutatis mutandis“, oggi, si possono trattare le persone del terzo millennio da “plebe imbelle”, e il poeta Decimo Giunio Giovenale non si meraviglierebbe perché, da grande pessimista quale era, non credeva che l’uomo potesse debellare i vizi insiti nella natura umana e diventare virtuoso.

Tuttavia, una speranza c’è sempre. Ed è quella di non sottovalutare l’intelletto umano, che se opportunamente sollecitato alla riflessione, produce giudizi, e il giudizio è la bussola della vita.

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Panem et circensesultima modifica: 2018-11-17T23:30:16+01:00da pietrogiovanni1
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