CONTRO TUTTI GLI ORRORI

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Nessuno ha il monopolio del dolore!

Siamo contro tutti gli orrori di questo mondo!

Contro tutti i mali e le ingiustizie perpetrati ai danni di tutti i popoli!

Siamo contro ogni razzismo e genocidio, contro tutte le aggressioni e tutte le pulizie etniche passate, presenti e future, perpetrate ai danni di ogni popolo in ogni luogo del mondo!

Siamo contro la distruzione di ogni popolo, ricchezza, bellezza, cultura, religione, tradizione e valori esistenti sulla faccia della terra!

SIAMO PER L’INCONTRO, LA CONOSCENZA RECIPROCA E LA FRATELLANZA DEI POPOLI!

BLOG SGF IN PIAZZA

Il pensiero di Massimo Fini e il vizio oscuro dell’Occidente.

L'immagine può contenere: 1 personaDal libro di Massimo Fini “Il vizio oscuro dell’Occidente”

“Noi OCCIDENTALI dobbiamo piegare i NON OCCIDENTALI al nostro modello basato sul mercato e le crescite infinite.
Così l’Occidente senza averne piena coscienza è fondamentalista, integralista, totalitario.

Da leggere questi due pezzi per capire meglio.

Venezuela: il solito tic degli imperialisti.

Noi lo avevamo scritto sul Fatto del 15 agosto 2017: “Il prossimo obbiettivo è Nicolàs Maduro”. Ieri, dopo che il leader dell’opposizione parlamentare venezuelana Juan Guaidò si era autoproclamato presidente del Paese, Donald Trump è subito intervenuto non solo incoraggiando l’opposizione ma pronunciando la sinistra frase “tutte le opzioni sono sul tavolo”. Il che significa: intervento militare. Del resto erano mesi che altri importanti esponenti del governo americano, da Mike Pompeo a James Mattis, auspicavano un intervento armato in Venezuela in nome dei “diritti umani”, che in quel Paese sarebbero violati, e sobillando le forze armate venezuelane perché si ribellassero a Maduro. Quando sento parlare di “diritti umani” metto, metaforicamente, mano alla pistola. Perché, come la storia recente insegna, vuol dire che si sta per aggredire qualcuno.

Il metodo per eliminare leader sgraditi all’Impero americano, in genere socialisti, come per esempio Slobodan Milosevic, è sempre lo stesso, con qualche variante: prima si comminano sanzioni al Paese indesiderato, lo si strangola economicamente, nasce così uno scontento popolare e con esso un’opposizione che, sempre incoraggiata da fuori, si dà a manifestazioni più o meno violente. Prima di quelli degli ultimi giorni gli scontri fra sostenitori dell’opposizione e sostenitori di Maduro avevano causato in tutto 147 morti, equamente divisi fra le due fazioni. Si badi bene: non erano stati scontri con polizia o esercito, ma scontri fra fazioni politiche opposte. La reazione del governo venezuelano non deve essere poi, a differenza di quello che avviene nelle dittature propriamente dette o mascherate come quella di Putin in Russia, così truce se il leader dell’opposizione Juan Guaidò, sequestrato qualche giorno fa mentre era in auto con la moglie, dai servizi segreti venezuelani, è stato liberato dopo poche ore e il governo ha affermato che “è stata un’iniziativa non autorizzata” e che punirà i responsabili.

Maduro è stato rieletto per la seconda volta a maggio del 2018, col 70% dei consensi, e si è reinsediato due settimane fa. L’opposizione sostiene che si sia trattato di elezioni taroccate, perché in lizza non c’erano validi oppositori di Maduro, perché si sospetta di gravi brogli e perché sarebbero stati violati alcuni articoli della Costituzione venezuelana che danno potere di intervento al presidente dell’Assemblea nazionale, il Parlamento,” in caso di necessità e vuoto di potere”. Che ci sia un vuoto di potere in Venezuela ci par dubbio, quello che è vero è che Maduro ha svuotato il Parlamento delle sue funzioni. Se di golpe si tratta è un golpe istituzionale (alla Napolitano), non un golpe con le armi. Il golpe con le armi, cioè un golpe propriamente detto, lo ha realizzato Abd al-Fattah al-Sisi rovesciando nel luglio 2013 il governo dei Fratelli Musulmani, usciti vincitore, con tutti i crismi della legalità, dalle prime elezioni libere in Egitto, mettendo in galera, non per due ore ma a vita, il presidente legittimamente eletto Mohamed Morsi e tutta la dirigenza dei Fratelli, assassinando in varie riprese 2.500 oppositori (ma potrebbero essere molti di più perché dall’Egitto non viene, e non viene ripresa, alcuna notizia) e facendone sparire altri 2.500 che, anche in questo caso, e per le stesse ragioni, potrebbero essere molti di più. Eppure nella cosiddetta comunità internazionale, una gran parte della quale ora si scandalizza e si scaglia contro Maduro definendolo “un usurpatore”, non si levò una sola protesta. Una disparità di trattamento che salta agli occhi di tutti, almeno per chi li abbia conservati.

Il fatto è che quello di Maduro è un socialismo, un socialismo largamente imperfetto, ma un socialismo, che ha due obbiettivi di fondo: il tentativo di una maggior perequazione sociale in un Paese dove un migliaio di famiglie detiene la maggior parte della ricchezza e tutto il resto della popolazione vive in povertà, e il tentativo di prendere le distanze dall’inquietante vicino americano. È la cosiddetta ‘linea bolivariana’, che fu ripresa da Chavez, il predecessore di Maduro, e di cui Maduro è il continuatore. Linea che per parecchi anni ha avuto un certo successo coinvolgendo molti altri Paesi sudamericani. Ma adesso la situazione è cambiata. Perché molti di questi Paesi, ad eccezione della Bolivia e del Messico, sono governati dalle destre e in qualche caso da destre estreme, vedi Bolsonaro.

Se una previsione l’avevo azzeccata, un’altra l’ho sbagliata. Avevo scritto che con Trump non ci sarebbero più state guerre ideologiche, ma solo economiche. A quanto pare –speriamo di sbagliarci e che The Donald torni sui suoi passi- non è così.

Due osservazioni per finire. Fa ridere, fa ridere amaro, che gli Stati Uniti si scaglino contro la presunta ‘dittatura’ di Maduro quando per decenni hanno sostenuto i più feroci e sanguinari dittatori sudamericani, da Noriega a Somoza a Batista a Pinochet solo per fare i primi nomi che ci vengono in mente.

Certi esponenti europei, da Tusk a Tajani, hanno affermato che in Venezuela alcuni oppositori sono in galera, sono quindi “prigionieri politici”, una situazione inaccettabile. Ma in Spagna Puigdemont, che dopo un referendum si era proclamato Presidente della Catalogna, senza che ci fosse stata alcuna violenza da parte dell’Indipendentismo catalano, è stato costretto all’esilio, mentre altri esponenti del governo catalano, l’ex vicepresidente Oriol Junqueras, Jordi Turull, Josep Rull, Carles Mundò, Raul Romeva, Joaquim Forn, Meritxell Borras e Dolors Bassa, sono in galera da più di un anno con l’accusa di “sedizione”. Questi sì veri detenuti politici nel mezzo della democratica Europa.

Due pesi e due misure. Come al solito, come sempre. Maduro è un golpista, Al Sisi no, gli oppositori di Maduro, dopo manifestazioni violente, sono “detenuti politici”, Junqueras e gli altri, dopo un referendum, e senza violenze, sì. Ma ora, per usare un linguaggio feltriano, ci siamo proprio rotti i coglioni. Saremo probabilmente i soli, in un panorama occidentale tutto allineato all’imperialismo americano, che in Sudamerica si riassume con la famosa frase di Henry Kissinger dedicata al Brasile, definito “satellite privilegiato degli Usa”, a difendere Nicolàs Maduro e quel che resta del socialismo, che non è il comunismo, internazionale.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 25 gennaio 2019

***

Con Guaidò tutte le élite, non il popolo.

Vorrei sapere in nome di quale principio o norma di diritto internazionale uno Stato può intervenire militarmente, o minacciare di farlo, negli affari interni di un altro Stato sovrano regolarmente rappresentato all’Onu. Vorrei sapere in nome di quale principio o norma di diritto internazionale uno Stato può incitare le forze armate di un altro Stato a ribellarsi al proprio governo. Vorrei sapere in nome di quale principio o norma di diritto internazionale uno Stato può decidere chi sia il legittimo presidente di un altro Stato. Vorrei sapere in nome di quale principio o norma di diritto internazionale uno Stato può finanziare apertamente l’opposizione di un altro Stato (intendiamoci, questo avveniva, un tempo, anche in Italia: gli Stati Uniti finanziavano la Dc e il Psdi, l’Unione Sovietica il Pci, ma questo avveniva almeno a porte chiuse, anche se poi tutti lo sapevano). Vorrei sapere in nome di quale principio o norma di diritto internazionale un politico, sia pur un parlamentare, può autoproclamarsi presidente del proprio Paese solo perché a capo di una mobilitazione di 50, 60 o 80 mila persone. In democrazia, quella democrazia in nome della quale sempre ci rompono i coglioni, un capo di Stato o un Premier è legittimato solo dal voto e 50 o 60 o 80 mila persone scese in piazza non possono solamente per questo rappresentare un Paese di 32 milioni di persone.

Tutto quello che abbiamo fin qui elencato vìola invece una norma di diritto internazionale, sottoscritta solennemente a Helsinki nel 1975 da quasi tutti gli Stati del mondo, che sancisce il principio dell’ “autodeterminazione dei popoli”. Una volta ancora gli Stati Uniti violano questo principio fondamentale, contro la volontà dell’Onu, come hanno fatto in Serbia nel 1999, in Iraq nel 2003, in Somalia nel 2006/2007, in Libia nel 2011 e in Siria nel 2012. A parte che i risultati di questi interventi americani sono sempre stati devastanti, bisognerebbe lasciare, sempre in forza del principio sancito a Helsinki, che sia la popolazione di un Paese a risolvere da sé e con le sue sole forze le proprie questioni interne. Nessuna dittatura –se questo è il problema- può resistere a lungo se non ha l’appoggio di una parte consistente della popolazione. Altrimenti cade. Invece con gli interventi americani, fossero presidenti Clinton o Bush figlio od Obama od ora, forse, Trump, guerre civili locali che sarebbero prima o poi finite con la vittoria di una o dell’altra parte si sono trasformate in guerre globali di cui non si intravede la fine.

Il governo russo ha affermato: “Le interferenze straniere costituiscono una sfacciata violazione delle norme basilari del diritto internazionale”. Menomale che esiste la Russia, ora ritornata potenza mondiale, a cercare di tenere a freno le violenze e le prepotenze americane. E viene quasi la nostalgia della vecchia Unione Sovietica quando in virtù dell’”equilibrio del terrore” nessuna delle due potenze allora egemoni, Stati Uniti e Russia appunto, poteva permettersi di andare oltre certi limiti o quando lo faceva, come fu per gli americani in Vietnam, ne usciva con le ossa rotte.

Infine una nota su Salvini. Costui vuole fare sempre il nerboruto e il fenomeno, cosa che finirà per perderlo, come ha perso Matteo Renzi, e ha dichiarato: “Basta con Maduro, prima se ne va e meglio è. E’ lui che ha affamato il popolo venezuelano”. Salvini ha avuto l’intuizione di affermare che ciò che si sta muovendo oggi in buona parte del mondo è una lotta dei popoli contro le élite. Ma non ha capito che in Venezuela è proprio il sedicente e autoproclamatosi presidente Juan Guaidò a rappresentare le élite, cioè quelle ricche famiglie venezuelane che han sempre odiato Chavez come oggi odiano Maduro che han tentato di tagliar le loro lunghe unghie, mentre è Maduro a rappresentare il popolo.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 26 gennaio 2019

Patrimonio Unesco e la bocciatura della Sila.

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Tutti i membri della Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco e del Consiglio Direttivo della Commissione stessa che hanno bocciato la Sila, sono stati nominati dai precedenti governi.

Mandiamo a casa anche questa gente!

La nostra bellissima Sila merita di più!

http://www.unesco.it/it/ChiSiamo/Detail/183

Meetup San Giovanni in Fiore in Movimento

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SGF – Banche e Poste: come la BCE, le banche e le poste tartassano i c/c e i risparmi dei cittadini?

Nessuna descrizione della foto disponibile.Come è risaputo, la maggior parte dei cittadini, liberi professionisti, imprenditori, impiegati, pensionati ecc., ha un rapporto di conto corrente con una banca o un ufficio postale.

Come in tutta Italia anche la nostra comunità vanta un nutrito numero di tali istituzioni creditizie e di servizi finanziari. Pertanto anche molti sangiovannesi hanno un rapporto di conto corrente con questi istituti.

Con il nuovo anno, anche se molti non ne sono al corrente, tanti correntisti saranno tartassati da vari aumenti dei costi per la tenuta del conto corrente.

Ci si perdoni il gioco di parole, ma da oggi in poi occhio alle spese di conto corrente.

Le due principali funzioni di un’istituzione creditizia sono quelle, da un lato, di raccolta fondi (i depositi e i risparmi dei cittadini), e dall’altro, di impiego fondi (prestiti alle imprese, ai professionisti, alle famiglie ecc. ecc.).

Dato che questi istituti non prestano più soldi alla gente, rimangono con un’enorme liquidità in eccesso nelle proprie casse. E che ci fanno con tutti questi soldi? Facendo il nostro Paese Italia parte dell’Europa, sono obbligati, banche e poste, a depositarli presso la BCE (Banca Centrale Europea).

La BCE remunera questi istituti che hanno depositato questa massa di denaro con un determinato tasso di interesse. E allora? Quale sarebbe il problema?

Il fatto è che , secondo le politiche finanziarie europee, le condizioni di mercato e il contesto macroeconomico in cui tali istituti operano sono sensibilmente mutati in questi ultimi periodi, hanno portato il DFR (Deposit Facility Rate), ovvero il tasso che remunera la liquidità in eccesso, depositata da queste istituzioni creditizie presso la stessa BCE, ad assumere valori negativi, nel senso che vi sono dei costi di milioni di euro per banche e poste, fino a raggiungere un tasso negativo, -0,40%.

Cosa fanno banche e poste che devono sostenere debiti per interessi negativi di milioni di euro nei confronti della BCE?

Trattandosi di un effetto, diretto o riflesso, di decisioni di politica monetaria della BCE, contestualmente queste istituzioni, a cui noi cittadini ricorriamo quasi quotidianamente, modificano unilateralmente a loro favore ( cioè scaricano sui conti correnti, sui risparmi e sui depositi dei cittadini) tutti questi debiti che hanno con la BCE.

Come?

Aumentando su migliaia di cittadini, qui a San Giovanni in Fiore, e su milioni di cittadini, in tutta Italia, le spese di gestione conto, spese di tenuta conto, spese forfettarie di tenuta conto, commissioni varie e spese di spedizione comunicazioni di circa il 30%, nonché aumentando il tasso di sconfino c/c portandolo a circa il 12,50%.

Se un cittadino non sarà d’accordo con queste modifiche, unilaterali, potrà sempre cambiare banca o posta. Ma dove andrà, in ispecie qui nella nostra comunità, se tutte le banche e le poste sono le stesse?

Insomma, questo sistema bancario e postale, insieme alla BCE, non è altro che un cartello finanziario che strozza e dissangua il popolo!

SGF IN PIAZZA

P.S.
Tutto ciò avviene in modo regolare e legale ai sensi e per gli effetti di cui all’Art. 118, comma 4, del Decreto Legislativo 01/09/ 1993 n. 385 (Testo Unico Bancario).

RICCHEZZA E POVERTÀ NEL MONDO

L'immagine può contenere: 1 personaÈ evidente che anche a causa di questo divario aumenta l’immigrazione nel mondo, nonché l’inutile retorica dei buoni sentimenti.

“Paperoni sempre più ricchi, poveri sempre più poveri”

Le fortune dei super-ricchi sono aumentate del 12% lo scorso anno, al ritmo di 2,5 miliardi di dollari al giorno, mentre 3,8 miliardi di persone, che costituiscono la metà più povera dell’umanità, hanno visto decrescere quel che avevano dell’11%. L’anno scorso, da soli, 26 ultramiliardari possedevano l’equivalente ricchezza della metà più povera del pianeta. Una concentrazione di enormi fortune nelle mani di pochi, che evidenzia l’iniquità sociale e l’insostenibilità dell’attuale sistema economico. Un dato, quello sull’Olimpo della ricchezza, che è la rappresentazione estrema del divario patrimoniale registrato lo scorso anno: a metà 2018 l’1% più ricco deteneva infatti poco meno della metà (47,2%) della ricchezza aggregata netta, contro un magro 0,4% assegnato alla metà più povera della popolazione mondiale, 3,8 miliardi di persone. Il Rapporto di Oxfam, diffuso oggi (21 gennaio 2019) alla vigilia del meeting annuale del Forum economico mondiale di Davos, rivela come il persistente divario tra ricchi e poveri comprometta i progressi nella lotta alla povertà, danneggi le nostre economie e alimenti la rabbia sociale in tutto il mondo.

In Italia il 20% più ricco dei nostri connazionali possedeva, nello stesso periodo, circa il 72% dell’intera ricchezza nazionale. Il 5% più ricco degli italiani era titolare da solo della stessa quota di ricchezza posseduta dal 90% più povero. Allo stesso tempo, se la quota della ricchezza globale nelle mani dell’1% più ricco è in crescita dal 2011, un trend opposto caratterizza la riduzione della povertà estrema. Dopo una drastica diminuzione, tra il 1990 e il 2015, del numero di persone che vivono con un reddito di meno di 1,90 dollari al giorno, ad allarmare è il calo del 40% del tasso annuo di riduzione della povertà estrema (che secondo le stime è rallentato ulteriormente tra il 2015 e il 2018). Un aumento della povertà estrema che colpisce in primis i contesti più vulnerabili del globo, come l’Africa subsahariana.

Lo studio mette inoltre in evidenza le responsabilità dei governi, in ritardo nell’adottare misure efficaci per contrastare questa galoppante disuguaglianza. Servizi essenziali come sanità e istruzione infatti continuano a essere sotto-finanziati, la lotta all’elusione fiscale ristagna, mentre le grandi corporation e i super-ricchi contribuiscono fiscalmente meno di quanto potrebbero. L’enorme disuguaglianza che caratterizza il nostro tempo, inoltre, colpisce soprattutto donne e ragazze. “Non dovrebbe essere il conto in banca a decidere per quanto tempo si potrà andare a scuola o quanto a lungo si vivrà -sottolinea Winnie Byanyima, direttrice di Oxfam International-. Eppure è proprio questa la realtà di oggi in gran parte del mondo. Mentre multinazionali e super-ricchi accrescono le loro fortune a dismisura, spesso anche grazie a trattamenti fiscali privilegiati, milioni di ragazzi – soprattutto ragazze – non hanno accesso a un’istruzione decente e le donne continuano a morire di parto”.

Per potenziare il finanziamento dei sistemi di welfare nazionali, è necessario rendere più equo il fisco. Invertendo la tendenza pluridecennale, che ha portato alla graduale erosione di progressività dei sistemi fiscali e a un marcato spostamento del carico fiscale dalla tassazione della ricchezza e dei redditi da capitale, a quella sui redditi da lavoro e sui consumi. Una proposta che parte da alcune evidenze, che fotografano l’ingiustizia fiscale di cui inevitabilmente fanno le spese i più poveri.

Globalmente nel 2015 solo 4 centesimi per ogni dollaro raccolto dal fisco proveniva dalle imposte sul patrimonio, come quelle immobiliari, fondiarie o di successione. Questo genere di imposte ha subito una riduzione – o è stato eliminato del tutto – in molti paesi ricchi e viene a malapena reso operante nei paesi in via di sviluppo.

L’imposizione fiscale a carico dei percettori di redditi più elevati e delle grandi imprese si è significativamente ridotta negli ultimi decenni. Nei paesi ricchi, per esempio, in media, l’aliquota massima dell’imposta sui redditi delle persone fisiche è passata dal 62% nel 1970 al 38% nel 2013. Nei paesi in via di sviluppo questa aliquota è ora in media al 28%.

Per 90 grandi corporation l’aliquota effettiva versata sui redditi d’impresa ha visto un forte calo tra il 2000 e il 2016, passando dal 34% al 24%. Tenendo conto di imposte dirette e indirette, in paesi come il Brasile o il Regno Unito, il 10% dei più poveri paga, in proporzione al reddito, più tasse rispetto al 10% più ricco. Se I’1% dei più ricchi pagasse appena lo 0,5% in più in imposte sul proprio patrimonio, si avrebbero risorse sufficienti per mandare a scuola 262 milioni di bambini e salvare la vita a 100 milioni di persone nel prossimo decennio.

I servizi pubblici sono sistematicamente sotto-finanziati o vengono esternalizzati ad attori privati, con la conseguenza che spesso i più poveri ne vengano esclusi. Ecco perché in molti paesi un’istruzione e una sanità di qualità sono diventate un lusso che solo i più abbienti possono permettersi. Basti pensare che ogni giorno 10 mila persone muoiono nel mondo, perché non hanno accesso a cure mediche, per il semplice fatto che non le possono pagare. Nei paesi in via di sviluppo un bambino di una famiglia povera ha il doppio delle possibilità di morire entro i 5 anni, rispetto a un suo coetaneo benestante. In un paese come il Kenya, un bambino di una famiglia ricca frequenterà la scuola per il doppio degli anni rispetto a un bambino proveniente da una famiglia senza mezzi.

Vi è una forte correlazione tra disuguaglianza economica e disuguaglianza di genere. Società più eque registrano anche condizioni di maggiore parità tra uomini e donne. A livello globale gli uomini possiedono però oggi il 50% in più della ricchezza netta delle donne e controllano oltre l’86% delle aziende. Anche il divario retributivo di genere, pari al 23%, vede le donne in posizione arretrata. Un dato che per di più non tiene conto del contributo gratuito delle donne al lavoro di cura. Secondo le stime di Oxfam, se tutto il lavoro di cura non retribuito, non contabilizzato oggi dalle statistiche ufficiali, svolto dalle donne nel mondo fosse appaltato ad una sola azienda, questa realizzerebbe un fatturato di 10 mila miliardi di dollari all’anno, ossia 43 volte quello di Apple, la più grande azienda al mondo. “Le persone in tutto il mondo sono arrabbiate e frustrate – conclude Elisa Bacciotti, direttrice delle campagne di Oxfam Italia – Ma i governi possono apportare cambiamenti reali per la vita delle persone assicurandosi che le grandi aziende e le persone più ricche paghino la loro giusta quota di tasse, e che il ricavato venga investito in sistemi sanitari e di istruzione a cui tutti i cittadini possano accedere gratuitamente. A cominciare dai milioni di donne e ragazze che ne sono tagliate fuori. I governi possono ancora costruire un futuro migliore per tutti, non solo per pochi privilegiati. È una loro responsabilità”.

Fonte – Adnkronos

P.S.

OXFAM

Oxfam (Oxford Committee for Famine Relief il nome esteso in inglese) è una confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo. Ne fanno parte 18 organizzazioni di Paesi diversi che collaborano con quasi 3.000 partner locali in oltre 90 nazioni per individuare soluzioni durature alla povertà e all’ingiustizia.

Il nome “Oxfam” si riferisce solo alla confederazione internazionale, di cui fanno parte varie ONG affiliate, presenti in molti paesi, spesso denominate con il nome “Oxfam” seguito da quello del paese. La denominazione Oxfam International, invece, si utilizza con esclusivo riferimento al Segretariato internazionale.

IMMIGRAZIONE: domande legittime!

L'immagine può contenere: una o più persone, acqua, spazio all'aperto e natura“Lei vuole gli immigrati, bene: quanti?”

In tanti dicono che dobbiamo guardare Sanremo per sostenere Baglioni nella sua “lotta” pro-migranti. Attori più o meno conosciuti, cantanti, scrittori, in tanti si schierano, o, diciamocelo senza tante storie, si schierano contro Salvini.

Negli articoli che segnalano queste prese di posizione, manca sempre il contenzioso: non si legge mai che un giornalista inizi a sottoporre l’intervistato a domande precise:

“lei vuole gli immigrati, bene: quanti?

ha un’idea dei numeri che si possono accogliere?

centomila? un milione? cento milioni? un miliardo?

lei si pone un limite?

e se arrivano, a fare che cosa arrivano?

c’è lavoro per loro? ci sono case sufficienti?

non pensa che milioni di immigrati che arrivano in Paesi privi di risorse lavorative creerebbero scenari spaventosi di violenze e sangue?

e dei musulmani che ne dice?

crede davvero che siano integrabili tutti senza problemi, o cercherebbero di imporre la loro “cultura” a noi?

come dice?

dice che non ha mai sostenuto che devono arrivare TUTTI?

ma allora torniamo alle domande di cui sopra:

quanti?

quale è il limite che lei si pone?

quindi, se lei dice che un limite purtroppo c’è, ciò significa che gli altri che non possono venire da noi vanno respinti, no?

dunque lei non è contrario ai respingimenti, dunque lei li prevede, no?”.

Ecco, se qualche giornalista avesse il coraggio di sparare a bruciapelo questa raffica di domande, sono certo che Saviano, Boldrini, Bergoglio, Strada, la Parietti, Baglioni e i vari rapper , cuochi e attori sarebbero in grave difficoltà.

Fonte – Corriere della Sera

Torna Che Guevara, le élite non capiscono.

L'immagine può contenere: 1 persona, persona seduta e spazio al chiusoEppure ancora le lobby, i partiti, destra, sinistra, questo tipo di Europa, le corporazioni, i sindacati, i privilegiati e tutte le solite consorterie politiche e partitiche, non hanno capito nulla.

“Tutti i cosiddetti ‘populismi’, pur così variegati e diversi fra loro, sono una rivolta contro le élite economiche e partitiche affinché il popolo si riprenda i propri diritti e la propria sovranità.”

Ce lo spiega Massimo Fini.

Da leggere fino in fondo!

*****

Di Massimo Fini

Torna Che Guevara, le élite non capiscono.

Quelli che stanno cambiando profondamente in questi anni, sotto i nostri occhi ma senza che noi quasi ce ne si accorga, sono gli assetti internazionali, e non solo, usciti dalla Seconda guerra mondiale. Grandi Paesi, come Cina e India, che a quella guerra non avevano partecipato, e quindi, a differenza dei vincitori, non ne avevano potuto cogliere i frutti, si sono affacciati con prepotenza sull’arengo mondiale accogliendo il modello di sviluppo occidentale che è riuscito a sfondare in culture antichissime che gli erano antitetiche, come appunto quella cinese e indiana. Ma se ciò ha aperto all’Occidente enormi mercati prima preclusi, praterie ancor più sterminate si sono presentate davanti a Cina e India che proprio in quell’Occidente una volta egemone si abbeverano mettendolo in gravi difficoltà.

Donald Trump, che è molto meno sprovveduto di quanto lo si faccia fermandosi alle sue ‘mise’ stravaganti, ha capito, e lo ha anche detto, che gli Stati Uniti non possono, e non vogliono, più essere i ‘gendarmi del mondo’. The Donald non farà mai guerre ideologiche, tipo Afghanistan o Iraq, per raddrizzare le gambe ai cani, per convincere, con le armi, certi Paesi riottosi ad adottare la democrazia, l’uguaglianza fra uomo e donna, il rispetto dei ‘diritti umani’ che sono da sempre, almeno a partire dalla Rivoluzione francese, il ‘core’ del pensiero occidentale. Ciò che interessa a Trump è conservare il primato economico o condividerlo con la Cina che al momento appare, su questo piano, l’avversario più pericoloso.

I tedeschi, con la copertura dei francesi, stanno cercando di ottenere un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu o quantomeno un seggio per l’Ue che sostituirebbe quello attualmente occupato dalla Francia. Cosa che era impensabile fino a pochissimi anni fa. E verrà anche il momento in cui sarà tolto alla Germania democratica il divieto di possedere l’Atomica, perché è fuori da ogni logica che quest’Arma, che è un deterrente decisivo per non essere spazzati via come fuscelli (Kim Jong-un insegna), ce l’abbiano oltre a Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna anche India, Pakistan, Israele, Corea del Nord e non il più importante Paese europeo. Del resto la Nato, che in teoria avrebbe dovuto garantire la sicurezza agli Stati membri, è in crisi come ha ammesso lo stesso Trump e l’Europa ha urgente bisogno di una difesa che non sia affidata solo alle armi convenzionali, che oggi stanno all’Atomica come un tempo la spada al fucile o la cavalleria ai carri armati. E l’Unione europea avrebbe dovuto cogliere al volo le incertezze di Trump sulla Nato per togliersi finalmente di dosso la pesante e pelosa tutela americana.

Ma, al di là di questo, il vero pericolo, per tutti, è un altro e si chiama Isis, ulteriore fenomeno nuovo che non era presente alla fine della Seconda guerra mondiale, che sconfitto a Raqqa e a Mosul risorge ovunque come un’Idra dalle mille teste, in Egitto, in Libia, in Mali, in Somalia, in Kenya, in Nigeria, in Pakistan, in Afghanistan e, sporadicamente, in alcuni centri nevralgici dell’Europa. Perché Isis è un’epidemia ideologica che potrebbe anche contagiare occidentali che non hanno alle spalle alcun retaggio islamico. Tutto il fenomeno dei foreign fighters è un segnale dell’angoscia di vivere in un modello di sviluppo che non è in grado di dare alla vita un senso che non sia puramente materiale.

Sono state le democrazie a uscire vincitrici dalla Seconda guerra mondiale. Si pensava quindi che questa forma di governo fosse non solo la più giusta ma anche la più efficiente. Così non è stato. Perché, salvo rari casi, le democrazie non sono mai state democrazie ma oligarchie o, come le chiamava pudicamente Sartori, poliarchie (“Democrazia e definizioni”). E queste élite, soprattutto economiche, non sono state all’altezza, come ha sottolineato Galli della Loggia in un editoriale sul Corriere (“Gli errori delle élite globali”, 10/1/19), facendo innanzitutto e soprattutto i propri interessi ai danni di quelli della popolazione. Tutti i cosiddetti ‘populismi’, pur così variegati e diversi fra loro, sono una rivolta contro le élite economiche e partitiche affinché il popolo si riprenda i propri diritti e la propria sovranità. Fino all’altroieri queste rivolte avevano calcato i solchi tradizionali, con ideologie riconoscibili e leader riconoscibili. Ma adesso queste rivolte sono diventate trasversali, non sono individuabili come appartenenti alla destra o alla sinistra, e tendono alla violenza. Non ci sono solo i gilet gialli francesi ma anche i serbi che hanno dato vita a una rivolta contro il presidente Vucic, che non ha ancora un nome e che mette insieme categorie eterogenee. Siamo all’alba di un nuovo mondo? Siamo alla rivincita postuma di Ernesto Che Guevara che non era né di sinistra né di destra ma uno che si è sempre battuto per il riscatto degli “umiliati e offesi” di tutto il mondo?

Il Fatto Quotidiano, 17 gennaio 2019

PUBBLICATO IL DECRETO PER LA RIQUALIFICAZIONE DEI PICCOLI COMUNI.

L'immagine può contenere: spazio all'apertoRibadiamo, all’Amministrazione Comunale sangiovannese, le nostre piccole proposte costruttive.

In un comune in dissesto finanziario bisogna approfittare anche di questi piccoli finanziamenti!

* * * * *

SGF – Amministrazione Comunale: i suggerimenti del Meetup SGF in MoVimento.

In merito al piano di investimenti pubblici pensato per i comuni inferiori ai 20 mila abitanti approvato nella Legge di Bilancio 2019 del Governo LEGA-M5S, ci permettiamo di dare qualche suggerimento all’attuale nostra Amministrazione Comunale.

Invitiamo la Giunta sangiovannese ad attivarsi affinché vengano spesi questi fondi (100 mila euro) circa 200 milioni delle vecchie lire, per il bene comune e il decoro della nostra Città.

Suggeriamo alla nostra Amministrazione Comunale di investire, nei limiti dei finanziamenti, questi soldi per mettere in sicurezza alcune gradinate, sulle quali non si è mai messo mano da decenni, ubicate nel centro del paese.

In particolare:

– la gradinata che porta al Palazzo del Municipio scendendo da Via Roma e uscendo su via Matteotti proprio davanti al Comune.

– la gradinata di Via San Biagio adiacente all’Ufficio Postale Centrale che porta in pieno Centro Storico.

– la gradinata adiacente alla fontana di Santa Lucia che porta su Via Gramsci proprio davanti all’ex sede del Liceo Scientifico.

Queste le condizioni:

Le risorse verranno stanziate dal 10 gennaio e i lavori dovranno partire entro il 15 maggio.

È prevista la revoca degli stanziamenti in caso di mancato rispetto delle scadenze per dare impulso immediato agli investimenti nelle infrastrutture.

Le risorse verranno stanziate per il 50% all’avvio dei lavori e per il restante 50% dopo l’invio del certificato di collaudo.

Buon lavoro!

Meetup San Giovanni in Fiore in MoVimento

https://dait.interno.gov.it/…/docu…/decreto-10-gennaio-2019…
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San Giovanni in Fiore – AMBIENTE

L'immagine può contenere: montagna, cielo, spazio all'aperto e naturaÈ sotto gli occhi di tutti, sebbene siano anni che si annuncia la sua chiusura, il continuo viavai dei camion sulla SS 107 provenienti da Cosenza e diretti alla discarica di VETRANO.

Ma non si doveva smettere il 31 dicembre scorso circa l’utilizzo di compost fuori specifica per il ripristino delle cosiddette quote di livello?

Pare che ci sia stata una proroga per continuare a scaricare, pardon, a ripristinare le quote di livello.

Di proroga in proroga, speriamo senza alcun ampliamento, la discarica di VETRANO è, ormai, a tutti gli effetti, costantemente aperta per il conferimento di rifiuti.

La cosa strana e preoccupante è che la salute, la tutela dell’ambiente e del territorio, pare, non interessino più a nessuno.

Noi cittadini, pubbliche istituzioni, mass media e politica della nostra comunità, è evidente, non siamo capaci di alzare un dito per capirci qualcosa, o chiedere qualcosa.

Siamo diventati degli IGNAVI.

Eppure l’ambiente è la nostra vita.

Meetup San Giovanni in Fiore in MoVimento

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