Sud contro Sud.

Volete darci la Banca del Sud, ma siete matti? Volete reintrodurre una forma di sostegno al Meridione che somiglia alla cassa del Mezzogiorno, ma vi ha dato di volta il cervello? Volete fare il ponte sullo Stretto, ma ci volete morti? Volete rilanciare il turismo al sud facendo nascere i casinò, ma voi siete solo pazzi…
Non c’è programma, investimento, iniziativa di rilancio del sud che non sia criticato o bocciato. E non dai padani o dai romani, ma da quelli del sud.
La malattia del sud è in una parola chiave, anzi in una parola chiavica, che fa sprofondare il sud nella fogna della paralisi: «Non si può». A dire «Non si può» non sono più gli agrari reazionari, le bigotte o i contadini, conservatori per indole e natura, ma è un ceto intellettuale-mediatico progressista, laico e radicale. Se prendete i giornali del sud, e le pagine meridionali dei giornali nazionali, è un continuo non si può.
I negazionisti di turno si sono fatti già sentire quando è stata varata la banca del sud. Coro di no degli intellettuali e degli imprenditori progressisti alla nascita della Banca del Sud.«È il solito spot del governo», aggiungono. Ci sarebbe da aspettarsi una levata di scudi dei settentrionali, e invece no, a reagire così sono proprio i beneficiari dell’impresa, cioè noi cittadini del sud.
Si possono anche discutere gli effetti che potrà avere una Banca del Sud, ma io sento fior di meridionalisti e di giornali meridionali che per anni hanno lamentato la colonizzazione finanziaria del sud, il drenaggio di investimenti prelevati a sud e portati a nord e hanno rimpianto l’epoca in cui il sud aveva grandi banche proprie e nazionali, come il Banco di Napoli o di Sicilia. Ora che qualcuno rilancia l’idea del sud imprenditore di se stesso, i meridionalisti piangenti insorgono offesi.
Non voglio parlare della sollevazione contro la Brambilla che ha prospettato la possibilità di far nascere casinò negli alberghi a sud: sinistre e Cgil reagiscono offesi, come se avessero chiesto al sud di prostituirsi e spacciare droga.
Di tutte le proposte per il rilancio del sud, alcune le condivido altre no. Per esempio, io non farei rinascere sotto falso nome casse e cassette del Mezzogiorno, dopo che le regioni del sud non hanno saputo usare i fondi europei. E tra le priorità strutturali e simboliche del sud non mi pare che il Ponte sullo Stretto sia la scelta giusta. Ma nel complesso posso dire due cose, da cittadino del sud fiero d’esserlo: non avevo mai visto una concentrazione di progetti per il sud così densa e impegnativa da parte di un governo; e poi alcune di queste iniziative avranno pure mille controindicazioni, ma come diceva Machiavelli meglio fare e poi pentirsi che non fare e poi pentirsi ugualmente. E la malattia meridionale finora è stata il non fare, non si può. Avessero solo un valore simbolico e psicologico, quelle opere segnerebbero già un mutamento importante nella nostra mentalità.

Qui però c’è da affrontare il nuovo fatalismo in malafede che prospera al sud e che fa rimpiangere l’arcaico ma genuino fatalismo del sud, popolare e contadino: il fatalismo inerte, accidioso, delle classi colte. Se togli tutte quelle iniziative cosa resta al sud? Resta solo andar via, abbandonare, emigrare con la mente se si superano i 40 anni, e col corpo se si è ancora giovani. Ma dicevo mala fede non a caso. L’ostilità a ogni progetto, questa volta, non viene dalla gente comune, dal popolino conservatore e ignorante, ma da chi dovrebbe guidare lo sviluppo del sud, tra università, giornali, intellettuali, oltre che naturalmente opposizione, sindacati, associazioni. Ho l’impressione che al sud stiano crescendo gli impresari dell’inerzia, del non-fare, dello scetticismo, perché c’è gente che campa sulla drammatizzazione del sud.
Intellettuali, giornalisti, cineasti, magistrati, scrittori-magistrati che perderebbero il loro mestiere di teologi della sfiga, di cantori della catastrofe, di ideologi del sud incurabile. Questa visione del sud che oscilla tra la malattia e la denuncia, questa visione reprimente e ospedaliera del Meridione, è la base per la loro letteratura, il loro ruolo intellettuale e civile.  Altro che la Lega; a sud c’è un ceto che campa su questo sud senza redenzione. Con quest’élite di sud-tirapiedi, di meridionali iettatori, che sognano un sud immobile e inguaribile per poi denunciarne il male e l’inerzia, il sud rischia veramente di andare alla deriva definitiva.

Sud contro Sud.ultima modifica: 2009-10-20T18:37:00+02:00da pietrogiovanni1
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2 pensieri su “Sud contro Sud.

  1. Pragmaticamente, sono interessato alla cultura del fare. Vorrei che i politici trattassero di politica, risolvessero i problemi, studiassero strategie per uscire dalla crisi. Il Governo in carica STA RISOLVENDO e sta sbagliando. L’opposizione si dovrebbe occupare di ben altre facezie piuttosto che lasciare LA REPUBBLICA a rappresentarla. Il Premier va con le donne, partecipa a feste ? Anche D’Alema (per non parlare di Marrazzo) ed il resto dei nostri esimi rappresentanti. MA CHE SE NE FREGA ! Ancora e sempre: Chi è senza peccato scagli la prima pietra !

  2. In questo paese mettersi l’elmetto, la divisa e andare a combattere è sempre stato un “must”. Sin dai tempi di Romolo e Remo, Orazi e Curiazi, Guelfi e Ghibellini sino ai fascisti ed antifascisti, democristiani e comunisti, e adesso berlusconiani e antiberlusconiani, c’è sempre stata la tendenza a schierarsi per questo o per quello. Fa parte dell’essenza degli italiani. Anzi penso proprio che il premier abbia creato il suo partito proprio sfruttando questa caratteristica degli italiani. Il colpo di genio? Inventarsi un nemico. A noi piace il senso di appartenenza ad un gruppo, e per questo in Italia esiste una cosa unica al mondo come il palio, ed è sempre per questo che il nostro campionato di calcio è così fortemente sentito dai tifosi come uno scontro (vedi derby di Genova, Juve vs Inter etc). “Soli contro tutti”, recitava uno striscione sugli spalti dell’Hellas Verona di qualche anno fa. Uno slogan che potrebbe andare bene ai dipietristi, o ai giornalisti del quotidiano “La Repubblica”, al direttore del Corriere Ferruccio de Bortoli e ai suoi sostenitori, insomma un po’ a tutti. Sarebbe andato bene anche ai tifosi dei Verdi o degli Azzurri ai tempi delle corse con le bighe al Circo Massimo. Pare che anche all’epoca sugli spalti ci fossero problemi di ordine pubblico. Perciò trovo che per persone per bene come FdB, sia piuttosto dura in questo momento di passione politica accesa, riuscire a stare in mezzo, senza venir tirati da una parte o dall’altra. L’Italia si dice sia spaccata in due, in realtà non è l’Italia ma sono gli italiani che vogliono la spaccatura. A tutti i livelli. Dove questo ci porterà è al momento difficile ipotizzarlo. Quello che fa specie è che se tutta questa energia che sprechiamo a combatterci l’un l’altro la usassimo per migliorare davvero questo paese, allora si’ che potremmo davvero abbandonare le divise e gli elmetti, e vestirci tutti da persone civili.

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